GIOVANNI MANZONI PIAZZALUNGA ## Milanese di Cochabamba, 36 anni, pittore

«Mi piace questo sito perché c’è spazio anche per milanesi come me, che vivo qui ma sono di Bergamo. E non solo di Bergamo…». Un mese fa Giovanni Manzoni Piazzalunga ha scritto a iMILANESisiamoNOI e dopo un paio di messaggi molto interessanti è stato subito, naturalmente, arruolato. Come vero milanese d’oggi, un milanese con più radici, Giovanni è perfetto: è nato a Cochabamba, in Bolivia, è stato adottato da una famiglia di Bergamo, dove è cresciuto e ha studiato fino a 18 anni, età in cui ha iniziato a frequentare Milano per studiare all’Accademia di Brera, prima da pendolare e poi in pianta stabile. Giovanni oggi ha 36 anni ed è un pittore che si sta facendo conoscere e apprezzare in Italia e all’estero. Ci vediamo nel suo studio.

Cominciamo da Cochabamba, in Bolivia.
«Sono nato lì nel 1979 e dopo pochi giorni sono finito in un orfanatrofio. All’epoca i miei genitori insieme con altri bergamaschi aiutavano a distanza una trentina di bambini che non potevano permettersi nulla. Dopo qualche mese sono venuti a trovarci e, siccome ero l’unico bambino a non avere nemmeno un parente, hanno scelto me per l’adozione. Avevo 18 mesi. Ovviamente non ho ricordi di quel periodo, la mia vita è tutta bergamasca».
Si sente italiano?
«Certo. Ma anche bergamasco, milanese, sudamericano… Solo che qui sono l’indio, in Bolivia sono l’italiano… Boh! Credo che la differenza sia la vera ricchezza del mondo e io sento di farne parte».
È già stato in Bolivia?
«La prima volta nel ’91. Avevo 11 anni e fu una bella sorpresa: non era solo la Bolivia stracciona e miserabile che mi avevano raccontato i preti. Lì ho visto la storia millenaria, l’arte, la gioia di vivere… Un Paese vario e affascinante, tutto da valorizzare».
Come è stato crescere a Bergamo?
«Bello. Certo, con il tempo le differenze sono state sempre più evidenti. In una famiglia naturale cresci e vedi che poco a poco assomigli a tuo padre, cosa che per me, ovviamente, non è successa. Mio padre, però, dipingeva…».
La passione per la pittura gliel’ha trasmessa lui?
«Non lo so. Ricordo che papà da piccolo mi diceva sempre di andare a dipingere nel suo studio e io, per contraddirlo, facevo di tutto tranne che prendere i pennelli in mano. Alla fine, però, qualcosa deve essere “passato”…».
Suo padre che lavoro fa?
«È un operaio in pensione, ma ha sempre dipinto e da quando non lavora più si dedica esclusivamente alla pittura. Quando ero indeciso se iscrivermi all’Accademia o al Politecnico, papà era uno dei pochi che spingeva per la prima soluzione».
Com’era Milano vista da Bergamo?
«Come una grande metropoli aperta, accogliente, e dalle mille opportunità. Ho fatto su e giù per tutto il periodo degli studi, tranne l’ultimo anno durante il quale mi sono trasferito definitivamente. Ormai sono residente a Milano da 13 anni».
La differenza più grande fra le due città?
«Milano ha più possibilità di incontri professionali, è più moderna di testa, è più concreta ma anche sognatrice. Qui puoi facilmente incontrare il mondo. Bergamo è un po’ borghese, piccola, molto lontana da Milano».
Bergamo le stava stretta?
«Da piccolo per niente. crescendo un po’. Chi ha un minimo di peso, una divisa o un po’ di potere, lo esercita in maniera vistosa e piccina».
Ha mai avuto problemi di razzismo?
«Fino a 20 anni, no. Dopo, sì. A me piace stare con gli amici e la sera quasi sempre se i poliziotti dovevano controllare qualcuno, fermavano il sottoscritto. Mi facevano l’alcoltest, mi chiedevano il passaporto o qualsiasi altra cosa. Insomma, ero “l’altro” e con me cercavano il pelo nell’uovo. Senza trovarlo. Una volta a Bergamo, dopo il solito trattamento, ho detto ai poliziotti che facevano così solo per il colore della mia pelle. Si sono arrabbiati, io ho cercato di segnare la targa e avere i loro nomi per denunciare il fatto, e loro mi hanno denunciato per oltraggio a pubblico ufficiale. Assurdo».
E a Milano?
«È diverso, però è chiaro che anche qui per la piena integrazione bisogna fare ancora tanta strada».
Per chi fa un lavoro come il suo Milano che città è?
«Questa è la piazza più vivace e importante d’Italia. A Bergamo l’arte attrae solo i vecchi, qui più o meno tutti. In futuro, però, mi piacerebbe andare all’estero, per esempio a Shanghai, se non altro per arricchire il mio bagaglio culturale e fare il confronto. In Italia è dura: non ci sono sgravi fiscali, anzi, le tasse sono paurose, va tutto a rilento e non si vende come una volta».
Quanto costa una sua opera, di solito?
«In Italia applico il coefficiente 1, quindi un metro per un metro vale 2000 euro. A me piace il modello libero di quotazione, ma per ora è così».
La crisi di questi ultimi anni come ha cambiato le cose?
«Io sono rimasto in piedi, non posso lamentarmi. Più in generale la crisi ha fatto da setaccio: chi aveva qualcosa da dire è rimasto, chi non ce l’aveva è stato spazzato. Si chiama selezione naturale».
Il suo mondo artistico di quali elementi è composto?
«A me è sempre piaciuto Michelangelo, l’apice di tutte le intenzioni artistiche. Cercare di unire la magia dei suoi disegni, e dei suoi corpi, con la complessità dell’universo creativo di Diego Rivera mi ha sempre affascinato».
Ho letto che utilizza il caffè…
«Lo sgocciolio del caffè che inserisco nelle mie opere cita il lavoro di Jackson Pollock e prova a dare un nuovo valore a quello che la gente butta via, un valore – spero – culturale».
La rete per un artista milanese di 36 anni è una risorsa o no?
«Se le gallerie non tornano a fare contratti agli artisti, e continuano a pretendere percentuali fra il 50 e il 70 per cento, dovremo per forza di cose renderci indipendenti. E la Rete è la soluzione migliore per riuscirci».
Il bello a Milano dove lo trova?
«Nei posti che tutti conoscono, come Duomo, Brera, vicolo dei Lavandai etc., e in tanti angoli pieni di arte, colori e sorprese. In via Padova, Palazzo Galimberti… Adesso ho uno studio in una palazzina liberty vicino a Porta Venezia. Un gioiellino. E poi vorrei una Milano capace di moltiplicare gli spazi di stupore artistico in città, per esempio con la street art».
Si è mai cimentato?
«Dopo il liceo artistico, a Bergamo. Ho iniziato nel parcheggio di un supermercato con un viso, è piaciuto e poi ho fatto qualche locale. È bello dipingere un muro, anche se preferisco i quadri».
Andrà a votare per il nuovo sindaco?
«No. Troppe delusioni. Ai politici, ormai, non credo più. Purtroppo».

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