MARIO LAVEZZI ## Milanese di Milano, 69 anni, compositore

Il primo giorno di primavera per i Dik Dik, E la luna bussò e In alto mare per Loredana Berté, È tutto un attimo per Anna Oxa, Vita e Varietà per Gianni Morandi, Stella gemella per Eros Ramazzotti… Queste sono solo alcune delle canzoni di grandissimo successo scritte da Mario Lavezzi, 69 anni, milanese che ha iniziato strimpellando la chitarra sulle panchine di piazza Napoli, giovanissimo è entrato e uscito dai Camaleonti, a 20 anni ha incontrato Mogol e Lucio Battisti e da allora è diventato uno dei compositori e produttori più quotati e apprezzati d’Italia (fra i tanti ha lavorato anche con Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, Loretta Goggi, Biagio Antonacci, Nomadi, Adriano Pappalardo, Alexia etc.). Per l’intervista e le foto l’appuntamento l’ha fissato a casa sua, dalle parti di Brera.

Come vede la sua Milano?
«Rispetto agli ultimi anni, bene. Sta diventando una metropoli europea sul serio, non solo a chiacchiere. Roma, per esempio, è un’altra cosa: tanto bella quanto invivibile. Vado spesso giù perché mia moglie è romana e purtroppo è un disastro. Regna il caos. Oddio, non voglio litigare con i romani ma la città la fanno quelli che l’abitano…».
Quindi Milano va bene anche perché ci vive tantissima gente che milanese non è?
«Certo. Tutte le persone venute da fuori hanno portato grinta ed energia che vanno d’accordo con la milanesità di sempre, che c’è e resiste a tutto, e si basa su un concetto semplice ma efficace: fare, fare, fare. Per me Milano è la città più moderna d’Italia perché veloce, concreta, disponibile. Se stai alle sue regole, ovviamente».
Qual è il suo punto di forza?

«Il dinamismo. Dal Dopoguerra in poi a Milano si è sempre fatto tanto in maniera frenetica e infaticabile».
La crisi di questi anni come ha segnato la città?
«Mah! Si è sentita, certo, però alla fine è stata affrontata con intelligenza e praticità. Come ai tempi dell’austerità degli anni ’70. Non c’era benzina? Ci si organizzava e si circolava in bici».
Nell’industria musicale è cambiato tutto?
«Sì, per sempre. Il mercato è finito, le case discografiche – quelle poche sopravvissute – a Roma non esistono più e a Milano vanno avanti a fatica. L’età dell’oro, quella degli anni ’60 e ’70, è lontana anni luce. Artisticamente ci si limita a rifare tutto, niente di più. Si va sul sicuro».
Tipo?
«I Daft Punk. Bravi, per carità, ma sono gli Chic. Uguali. Altro problema è rappresentato dalle radio, che in questi anni hanno appiattito la programmazione con musica prevedibile e consolatoria, senza mai rischiare di dare spazio a qualcosa di nuovo. Di artistico da quelle parti c’è ben poco».
Lo sfizio che le piacerebbe togliersi prima di compiere 70 anni?
«Mi sto occupando di giovani gruppi con Campus Band, concorso nazionale riservato a studenti liceali e universitari. La finale ci sarà a Milano il 16 giugno nel Cortile della Armi del Castello Sforzesco. Il gruppo prima classificato vincerà una borsa di studio del Centro di Produzione Musica di Franco Mussida, un’altra del Centro Europeo di Toscolano di Mogol e la possibilità di registrare un singolo».
Più o meno come un talent show?
«Mah! Forse, non lo so… Concorsi così si sono sempre fatti. Qui ci sono una giuria di qualità e una popolare».
Come nei talent. Le piacciono?
«Collaboro con Amici di Maria De Filippi, sono un’alternativa alla solita strada per emergere che, di fatto, oggi non esiste più. La discografia non ha risorse per sostenere i giovani, quindi i talent show – almeno dal punto di vista della promozione – danno una mano».
A parte Debora Iurato, di cui ha prodotto l’album, le piace qualcun altro fra i giovani artisti usciti dai talent?
«Emma funziona, è molto sostenuta da Maria De Filippi».
Certo, ma artisticamente le piace?
«Diciamo che non si può fare il paragone con il passato. Quelle che ho prodotto io, artiste come Loredana Berté, Anna Oxa, Fiorella Mannoia, Ornella Vanoni, o altre ancora come Patty Pravo e Mina, erano molto diverse da quelle di oggi. C’era una selezione naturale incredibile. Senza un grande talento e una fortissima personalità non si andava avanti. E poi c’era più autocritica. Oggi è merce rara, spesso non c’è vergogna…».
Pensando al passato, le sembra giusto che la moglie di Lucio Battisti blocchi qualsiasi iniziativa commemorativa in suo onore?
«È un scempio, forse la signora non ha capito che la musica di Lucio è di tutti gli italiani. Si potrebbero fare tante belle cose – in accordo con la famiglia – per ricordare valorizzare le sue canzoni, più o meno come fanno Dalia Gaberscik, la figlia di Giorgio Gaber; Dori Ghezzi, la moglie di Fabrizio De André; e Paolo Jannacci, il figlio di Enzo».
L’artista a cui è più legata qual è?
«Forse Loredana Berté, con la quale ho vissuto anche un’intensa storia d’amore. È un animale da palcoscenico incredibile, Loredana. In scena si vedeva subito che era speciale, coraggiosa, determinata».
Fra i giovani oggi con chi le piacerebbe collaborare?
«Mengoni mi sembra interessante».
Lo sfizio che vorrebbe togliersi nei prossimi anni?
«Un libro per raccontare un po’ di cose vissute in questi anni non mi dispiacerebbe».
Sente di aver avuto quel che meritava?
«Certo. Gli incompresi non mi sono mai piaciuti. Se fossi stato più determinato nella mia carriera da solista forse avrei potuto fare di più, ma evidentemente non mi interessava più di tanto. Ogni volta che ho lottato come un leone ho sempre avuto quel che volevo, sto bene così».
Andrà a votare per il nuovo sindaco?
«Andrò. Pisapia non mi è dispiaciuto e spero che quello nuovo sia all’altezza. Nel mio piccolo vorrei più piste ciclabili e multe salatissime per chi le occupa parcheggiando l’auto».
Meglio Sala o Parisi?
«Non lo so».
Moschea sì o no?
«Bisogna farla. C’è anche a Roma, non vedo perché qui non dovrebbe esserci. L’importante è controllare».
Per scrivere una bella canzone che cosa ci vuole?
«Mah! Diciamo che le pene d’amore, un’ossessione, la sofferenza in generale aiutano».
Nascono di notte, a tavolino, per caso?
«In tutti i modi. La mattina appena sveglio, ascoltando la radio, un disco vecchio… Io parto quasi sempre da un riff di chitarra».
Di buone, nel cassetto, ne ha ancora?
«Certo. Tre-quattro, mi creda, sono molto buone. Prima o poi le darò a qualcuno».
I giardinetti e il cane da portare a spasso le dicono qualcosa?
«Sì, certo. Non mollo perché mi diverto ancora. Ivano Fossati si è ritirato e, se era quello che voleva, ha fatto bene così. Quel gigante di Ornella Vanoni ha detto che non vuole registrare più dischi, e adesso si diverte a fare concerti jazz, che fa da Dio. Insomma, dipende. Ognuno fa quello che vuole. L’importante è avere rispetto per sé e per l’arte».

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