Di nuovo in tribunale ad ottobre per chiedere l’annullamento della sentenza di primo grado che ha visto condannato il nipote della vittima.
I difensori di Giacomo Bozzoli chiedono la cancellazione e l’annullamento della sentenza di primo grado che ha condannato il loro assistito all’ergastolo per l’omicidio aggravato e la distruzione del corpo dello zio Mario Bozzoli. Questo aveva 50 anni, e la sera dell’8 ottobre 2015 è scomparso nella fonderia di famiglia.
Il fatto sarebbe accaduto a Marcheno, in provincia di Brescia. Il reo tornerà in aula per il processo di secondo grado in appello, il prossimo 27 ottobre. Gli avvocati Luigi, Giovanni e Giordana Frattini hanno fatto ricorso sulla base della mancanza di prove nei confronti dell’accusato.
Le loro contestazioni vertono su più punti dell’accusa. Prima di tutto negano che vi sia stato un accordo tra l’imputato e gli operai Giuseppe Ghirardini, che era addetto al forno, e che, dopo 10 giorni dal fatto, si è suicidato ingerendo una capsula di cianuro.
Oscar Maggi e Aboyage Akwasi, detto Abu, i quali pare avrebbero concordato una versione falsa da riferire negli interrogatori. Inoltre, un altro punto, riguarda la diversità della prima accusa rispetto a quella della condanna. La Procura aveva, infatti, ipotizzato che il nipote 37enne della vittima, avesse aggredito lo zio nella fonderia, per poi trasportare il corpo caricandolo sull’auto.
In seguito, invece, gli inquirenti avevano sostenuto un’altra versione. Avevano effettuato un test con la carcassa di un maialino, per valutare le condizioni di un corpo gettato nel forno. Quindi il cadavere era stato bruciato e non occultato dall’omicida.
Questo sulla base del fatto che quel giorno, l’8 ottobre di quasi 8 anni fa, si era verificata una fiammata anomala all’interno del crogiuolo. Dopo l’esperimento giudiziale la Procura aveva ipotizzato il concorso in reato. La terza contestazione riguardava l’intercettazione di una telefonata.
Questa era avvenuta tra gli operai Abu e Maggi, dopo una settimana dalla scomparsa di Mario. Si aggiungeva anche la richiesta di annullamento dell’ordinanza che aveva disposto il suddetto esperimento presso un forno fusorio di Provaglio d’Iseo.
I legali dell’accusato avevano anche accennato all’ultima telefonata avvenuta tra Mario e la moglie, che lo stava aspettando per uscire a cena, la quale aveva dato l’allarme della scomparsa già alle 22 della stessa sera. Le telecamere di sorveglianza, secondo l’accusa, erano state spostate dai colpevoli per non inquadrare le zone dell’omicidio.
Secondo i difensori erano posizionate in quel modo a seguito dei furti di rottame. Giacomo Bozzoli, nel corso del processo davanti alla Corte d’Assise di Brescia, si è sempre dichiarato innocente affermando di non avere mai nemmeno litigato con lo zio, e di doverlo ringraziare per avergli insegnato il mestiere.
La zia dell’imputato, lo aveva subito accusato per la scomparsa del marito. L’ex fidanzata Jessica Gambarini, aveva riferito di essere a conoscenza di un presunto piano omicida di Giacomo, rivelatole durante la loro relazione. Sul banco dei testimoni sono passate 200 persone, molte delle quali in comune tra difesa ed accusa.
Le testimonianze di due ex addetti che erano anche stati indagati hanno smentito le tempistiche presunte dall’accusa. Sul contenuto del forno inoltre l’autorità aveva disposto una perizia, l’anatomopatologa forense Cristina Cattaneo, aveva escluso l’ipotesi del cadavere bruciato nel forno.
Mentre il 17 novembre, la consulenza del genetista forense Giorgio Portera aveva evidenziato che, per l’alta temperatura, era plausibile non trovare tracce di Dna. Oltre 270 le pagine di motivazioni della sentenza che, il tribunale ha emesso lo scorso 30 settembre 2022.