Rigettata dalla Corte d’Assise di Milano la perizia psichiatrica per Alessia Pifferi, considerata invece capacità di intendere e di volere.
La richiesta della perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e di volere di Alessia Pifferi per affrontare un processo è stata respinta dalla Corte d’Assise di Milano.
Il giudice Ilio Mannucci Pacini ha dichiarato che l’unico rapporto medico presentato dalla difesa non solleva alcun dubbio sulla piena capacità della donna, respingendo così la richiesta avanzata dal suo avvocato, laria Pontenani.
Pifferi è accusata di omicidio volontario aggravato per aver abbandonato la figlia Diana, di quasi un anno e mezzo, lasciandola sola in casa per sei giorni e causandone la morte per stenti.
Durante la seconda udienza del procedimento penale a Milano, i soggetti lesionati si stanno costituendo come parti civili e si sta esaminando quale prova ammettere a dibattimento, in seguito alla decisione della Corte riguardo alla “capacità di partecipare al processo” dell’imputata.
Alessia Pifferi, una donna di 37 anni originaria di Crotone, ma residente nella periferia est di Milano, precisamente nella zona di Ponte Lambro, si trova attualmente in prigione con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione per aver lasciato morire di stenti la sua figlia neonata, Diana, nata il 29 gennaio 2021.
La bambina, che era fisicamente meno sviluppata rispetto alla sua età, non sarebbe mai stata visitata da un medico pediatra del sistema sanitario.
Diana è stata trovata sola in casa, morta e distesa in un lettino da campeggio. Accanto a lei c’era un biberon e una boccetta di benzodiazepine semivuota. La neonata sarebbe rimasta sola nell’abitazione di via Parea per sette giorni, dal giovedì 14 luglio 2021.
Fino a pochi anni fa, la Pifferi abitava in casa con la madre che le forniva assistenza finanziaria. Ha un ex coniuge che risiede ancora nello stesso quartiere.
La signora, che non aveva un impiego fisso, ha confessato davanti al magistrato Francesco De Tommasi di non essere a conoscenza dell’identità del padre della sua bambina e di aver scoperto la gravidanza solo quando era già in una fase avanzata.