Caso camici, chiesto in appello il processo per Fontana

Chiesto il ricorso in appello per la vicenda sui camici prima venduti e poi donati alla regione, in cui erano coinvolti il governatore lombardo e suo cognato. Per i due è prevista una condanna.  

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Anche se in precedenza il gup aveva respinto la richiesta d’invio a giudizio, Fontana e gli altri quattro indagati nella vicenda dei camici devono essere processati. A sostenerlo è Massimo Gaballo, sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Milano, che ha ribadito anche come, poiché si tratta di un processo documentale per buona parte, è anche prevista una condanna. Vediamo nel dettaglio cosa è successo e quali sono adesso le prospettive per Fontana e gli altri indagati.  

Il gup Valori aveva respinto la richiesta di rinvio a giudizio 

La richiesta di rinvio a giudizio era stata respinta lo scorso 13 maggio dal gup Chiara Valori. La sentenza emessa dava disposizioni di non luogo a procedere per il presidente Attilio Fontana, perché il fatto non sussiste. 

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La stessa disposizione era stata emessa per il cognato Andrea Dini, titolare di Dama spa, che aveva firmato il contratto per l’acquisto di camici, trasformato successivamente in donazione, per Carmen Schweigl, dirigente della centrale acquisti regionale Aria, per Filippo Bongiovanni, ex direttore generale Aria e per Pier Attilio Superti, che ricopriva allora la carica di vicesegretario generale della Regione. 

L’accusa chiede il processo in aula  

Oggi, quando sembrava che il caso dei camici in cui era coinvolto Fontana sembrava risolto e chiuso, l’accusa chiede il processo in aula. Il pm ha dichiarato che le condotte in contestazione servirono al governatore Attilio Fontana per tutelare i suoi interessi personali e quelli economici della Dama spa. 

Sempre secondo l’accusa, i coinvolti nella frode hanno anteposto i loro interessi privati a quelli della collettività, che in quel momento era sommersa dalla pandemia. Gli altri imputati, che hanno collaborato alla frode, hanno eseguito le disposizioni date dal presidente della Regione Lombardia. 

Il caso camici e la frode  

L’accusa per il presidente di Regione Lombardia è di frode in forniture pubbliche, riguardante una fornitura di 75mila camici e altri dispositivi di protezione individuale risalenti ad aprile 2020. La fornitura era stata commissionata alla società Dama spa, di cui il cognato Andrea Dini deteneva il 90 per cento.  

L’importo della vendita ammontava ad oltre mezzo milione di euro, ma quando sono emerse le prime voci sul conflitto d’interessi del presidente venne trasformata poi in donazione 

L’inchiesta condotta dai pm Paolo Filippini e Carlo Scalas si svolse sulla persona del presidente Fontana, del cognato Andrea Dini, di Filippo Bongiovanni, ex direttore generale della centrale acquisti della Regione Aria, della dirigente Carmen Schweigl e su quello che all’epoca era vicesegretario generale della Regione, Pier Attilio Superti.  

Il processo d’appello fissato per il 5 maggio 

Come detto prima, anche se era stata respinta la richiesta d’invio dal gup, Fontana e gli altri quattro indagati nella presunta frode riguardanti la fornitura di dispositivi anti Covid secondo l’accusa devono andare a processo.  

La data del processo è stata fissata per il 5 maggio e a rappresentare la Procura generale saròà Massimo Gaballo. Spetterà ai legali difensori degli imputati sostenere le loro ragioni durante il processo d’appello. Invece, si dovrà attendere il 19 giugno per sapere come andrà a finire, ovvero se ci sarà condanna o meno per gli imputati. 

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