Daniel Lowell Peterson, meglio conosciuto come Dan Peterson, è nato 80 anni fa a Evanston, in Michigan (Usa), ed è fra gli allenatori di basket più famosi al mondo, di sicuro il numero uno in Italia. Sbarcato nel nostro Paese nel ’73, prima a Bologna per cinque anni e poi dal ’78 a Milano. Qui ha vinto tutto: quattro campionati nazionali, due Coppe Italia, una Coppa dei Campioni. Dopo il ritiro dall’attività agonistica nell’87, Dan Peterson – ormai stabilitosi defonitvamente a Milano e risposatosi con l’italiana Laura Verga – nel corso degli anni è diventato un testimonial pubblicitario di straordinario successo, un telecronista e un commentatore sportivo. Nella stagione 2010/2011 Dan Peterson si è tolto anche la soddisfazione di essere richiamato a 75 anni sulla panchina della “sua” Olimpia, nel frattempo diventata di proprietà di Giorgio Armani. In questa intervista il coach americano parla di Cile e colpo di Stato, Bologna e Milano, il ritiro, le pubblicità, il calcio, il traffico, i quartieri che preferisce, un suo eventuale ruolo in politica…
Trascrizione videointervista a DAN PETERSON
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IL COACH E L’ITALIA
Sono nato nel ’36 vicino a Chicago. Ho vissuto la Seconda guerra mondiale, quindi ho familiarizzato con la carta geografica d’Europa, e ovviamente con quella dell’Italia, che colpisce perché è una penisola con una forma molto particolare, a stivale.
IMMIGRATI E RAZZISMO
Noi (Peterson) siamo per la maggior parte irlandesi. Nel 1860/70 a Chicago c’erano le insegne che dicevano che non volevano gli irlandesi «NINA – No Irish Need Apply», Nessun irlandese per nessun lavoro». Insomma, non ci volevano, eravamo gli ultimi. E dopo di noi sono venuti gli italiani che hanno vissuto la stessa cosa.
ITALIANI A ELLIS ISLAND
Si vedevano a Ellis Island le foto degli immigrati dall’Italia, che sembrano i migranti che viaggiano in Europa oggi. Tutto il mondo è paese. Anche i miei bisnonni dall’Irlanda sono diversi, da parte di mio padre e da parte di madre. Hanno fatto viaggi allucinanti per arrivare lì. La mia bisnonna ha fatto il viaggio dall’Irlanda attorno al Sud America, non c’era il Canale di Panama ancora, a San Francisco, per arrivare a Chicago. Non c’erano neanche le ferrovie da San Francisco a Chicago, così ha dovuto fare il viaggio in diligenza: San Francisco – Los Angeles poi, sempre in diligenza, da Los Angeles a San Diego, e da San Diego a El Paso, poi dal fiume Rio Grande a New Orleans, da lì in battello fino al fiume Illinois e poi… Un viaggio incredibile! Una donna da sola… Che viaggi allucinanti! Quella era gente che aveva un altro carattere, a mio avviso, perché non è come prendere un aereo a Malpensa oggi e dopo 7 ore e 45 minuti sei a New York. No, quelli hanno fatto il salto, tutti, a prescindere dal gruppo etnico, hanno fatto il salto nel buio. Come andare da qui a Marte.
CILE, PONTE PER L’ITALIA
Prima dell’Italia sono andato dagli Stati Uniti al Cile, a fare per due anni l’allenatore della nazionale in Cile, dal ’71 al ’73, e questo, lo dico sempre, per me è stato il ponte fra Stati Uniti e l’Italia. Questo perché lì ho dovuto fare tre cose: imparare la lingua. Sapevo già lo spagnolo per averlo studiato tre anni al liceo, tre anni all’università, però era spagnolo scolastico. Quello parlato davvero, quello che si usa per la conversazione, l’ho imparato in Sud America. Poi dallo spagnolo all’italiano è stata poca roba.
ESPERIENZA PREZIOSA
Professionalmente ho imparato che cos’era il basket internazionale fuori dagli Stati Uniti, quindi la praticità del basket europeo, del Fiba (Federation International Basketball Association), il basket fuori dagli Stati Uniti. È così, quando sono arrivato in Italia, ero molto pronto per il salto, non era neanche un salto, era un piccolo passo.
PRIMA TAPPA BOLOGNA
Ovviamente sono andato prima a Bologna nel ’73, che mi sembrò subito la città ideale, a misura d’uomo, per me la città più bella del mondo. Una pulizia, una civiltà, tutto organizzato e tutti gentili… Come essere in Svizzera.
COSÌ HO «IMPARATO» L’ITALIANO
Ho anche imparato l’italiano, dopo un mese ero più o meno come sono adesso…
MILANO COME NEW YORK
Volevo venire a Milano perché sapevo che era la New York dell’Italia, The Big City.
L’OLIMPIA BASKET
Poi l’Olimpia Milano, la squadra, il club dalla grande tradizione.
MILANO 1978
Quando sono arrivato nel’78 non era molto diversa da Bologna, perché Bologna ha 500 600 mila cittadini, Milano il doppio, ma non di più.
PAURA DEL TRAFFICO
Io non guido una macchina, non ce l’ho da anni. Gli italiani sono troppo bravi a guidare, mentre noi americani siamo un po’ polentoni… In America con le strade larghe la velocità è più lenta e io sono a mio agio, ho tolto un pericolo dalla strada.
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40 ANNI SORPRENDENTI
Io vivo un anno alla volta, però non avrei mai pensato di stare qui dal ’78. Quarant’anni a Milano… però è successo.
PUBBLICITÀ, TV, NOZZE
Ho lavorato nella pubblicità, nella televisione, poi mi sono risposato qui con Laura Verga, figlia del grande, mitico, campione di motonautica Mario Verga. Quindi mi sono radicato qui a Milano.
GHE PENSI MI
Ogni tanto dico qualcosa, cerco di dire in dialetto milanese «Ghe pensi mi», «Che fresc che ghel», tre o quattro frasi. E quando lo faccio mi sento di partecipare.
MAI AMERICANO PER CASO
Ovunque vada io cerco di non essere l’americano capitato per caso, come se fossi un turista.
BERE MILANO
Ho cercato di bere Milano, la Milano da bere, un po’ della città in quegli anni l’ho assaggiata…
IL RITIRO NELL’ 87
Mi sono ritirato anzitempo, nell’87. Avevamo vinto gli ultimi tre scudetti, ma non volevo sentire qualcuno dire: «Hanno perso perché Peterson fa troppe cose», quindi mi sono detto meglio fermarmi adesso che abbiamo vinto e nessuno può dire niente. Questa era una parte della mia motivazione, l’altra parte era una questione di salute, però non avrei mai voluto fare una cosa al 99%. Perdiamo perché il coach è distratto da altre cose. No, mai.
CHE ERRORE…
Ho sbagliato e lo so benissimo, ero molto stanco, esaurito da queste cose e non volevo rubare tempo a loro. E ho detto al presidente: «Ok, io ho fatto il mio tempo qui. C’è Franco Casalini, il mio vice allenatore, dai la squadra in mano a Franco». Avessi fatto la cosa più logica, avessi detto: «Datemi un mese di tempo, lasciatemi andare in America e il 1° luglio vi darò una risposta», mi sarei ricaricato e riposato, e avrei detto: «Ok, fra poco ricominciano gli allenamenti, sto tornando».
2010, IL RITORNO DEL COACH
Il rientro nel 2010/11 fu una sorpresa. Ricordo di aver detto alla squadra nello spogliatoio: «Se pensate che io dopo 25 anni di assenza dalla panchina vi farò vincere la partita questa sera, siete venuti nell’arena sbagliata, perché io sono 25 anni indietro, e cercherò di recuperare un anno ogni partita». Ovviamente il pubblico fece una grande ovazione, essere a bordo campo per me era come stare un po’ a casa, ma a dir la verità mi sentivo spaesato. Mi ero abituato a stare a bordo campo per fare la telecronaca… Detto questo, quella è stata l’esperienza più bella di sempre.
MILANESE O AMERICANO?
Probabilmente più milanese di origine americane. Ovviamente ho sempre il passaporto americano, sono sempre americano di nascita e orgoglioso di esserlo, però sono anche molto felice di vivere qui in Italia.
MANZONI CHI?
Pian piano ho cominciato a capire un po’ la storia dell’Italia. Se uno mi avesse detto nel ’73 chi era Alessandro Manzoni non avrei neanche saputo rispondere. Però piano piano uno è qui e queste cose le impara. È come dire: non sono intenditore di calcio, però per forza in Italia uno deve per osmosi.
MILAN O INTER?
Sono amico di Adriano Galiani quindi spero che loro vadano bene ma non sono anti-Inter. Vivendo a Milano spero che le due squadre di Milano vadano bene perché so cos’è soffrire nello sport.
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LA MILANO CHE PREFERISCO
Il quartiere Brera, il quartiere Isola, che è un’isola veramente, non c’è acqua attorno, però e separata da tutti. Per bellezza e caratteristiche tradizionali Brera è per me qualcosa di insuperabile.
COSA CAMBIARE
Il traffico. Anche se non guido ogni anno che passa il traffico è sempre più difficile.
IL NUOVO SINDACO
Essendo cittadino americano non voto e non faccio campagna per nessuno. Diciamo che sono quello che sta casa a criticare, sono il classico antipolitico, però se un giorno mi dovessero chiedere di fare il sindaco di Milano lo farei molto volentieri.
PIÙ BELLA E VIVIBILE
Il il mio interesse sarebbe di rendere Milano più bella e vivibile.
SENZA L’ITALIA
Sarei rimasto in Cile. Ero molto contento di stare lì.
CERTE STRANE VOCI
Dicono da anni che all’epoca ero agente della C.I.A. in Cile.
IL GOLPE IN CILE
Questo perché sono andato via dal Paese dodici giorni prima del golpe. Dico la verità su questo: anche se c’erano tutte le indicazioni possibili di un colpo di Stato, di una rivoluzione, o di un tumulto del genere, dentro di me dicevo: «Non può capitare», poi sono andato via ed è successo.
AGENTE DELLA CIA IN UNA FICTION
Mi chiamavo Ispettore Brady o Grady, non ricordo. Nell’Ispettore Coliandro, fiction molto divertente diretto dai fratelli Manetti, entrambi bravissimi.
BUONA LA PRIMA?
No, dopo sei o sette volte… Negli spot (per anni è stato il testimonial di tè Lipton, ndr) mi è capitato di rifare 25 volte una scena per gli spot pubblicitari..
REGISTI COME GLI ALLENATORI
I grandi registi sono per me come grandi allenatori, hanno questo tocco speciale che li rende unici. Pensi che il mio primo spot per la Lipton l’ha diretto il regista Nanni Loy.
I CONSIGLI DI NANNI LOY
Non sapevo tutta la sua storia. Nell’85, quando abbiamo fatto il primo spot della Lipton, non avevo visto la sua Candid Camera eccetera. All’epoca avevo già fatto due spot per Sergio Tacchini, ma gli chiesi lo stesso: «Nanni, tu sei stato anche attore davanti la camera, puoi darmi un consiglio?». E lui: «Non recitare per la camera, pensare che da questo lato della camera c’è una signora anziana e da questo lato c’è un bambino piccolo, sono le due figure più simpatiche agli italiani. Tutto quello che fai, lo devi fare per loro». Fu talmente convincente che ogni volta – davanti a una telecamera con la luce accesa – penso a quello che mi ha detto Nanni Loy».
I NOVANTA
I 90 anni non lo festeggiamo, ok? 80 è il limite, ok?
LO SPIRITO DEGLI OTTANTENNI
Quando ho compiuto 80 anni ho pensato ad altri grandi personaggi: Ottavio Missoni, Giorgio Armani, Cesare Rubini del basket, Indro Montanelli… Anche a 80 anni loro avevano e hanno dentro quello che spero di avere ancora dentro io… Una gran voglia di lavorare ogni giorno, fare qualcosa per non sentirsi un pensionato che aspetta la fine». Quella che voglio è far di tutto per rispettare ogni giorno in questo modo.