Il settore big tech è in crisi. Non soltanto i dipendenti Yahoo di Milano rischiano il licenziamento, ma anche quelli che lavorano in altre società.
La tabula rasa è quasi stata completata. Yahoo, il portale web e gigante tecnologico americano, starebbe per licenziare il 90% dei dipendenti presso la sede di Milano.
Oath Italy Srl, la società che agisce per conto delle attività italiane di Yahoo, ha dato il là alla procedura di licenziamento che coinvolge 19 dei 21 dipendenti della sede di Milano.
I licenziamenti fanno parte della riduzione del 20% del personale decisa a livello mondiale, e questa cifra riguarda la quasi totalità dei dipendenti del Belpaese.
Questo è quanto si legge in un comunicato congiunto di Fisascat Cisl, Filcams Cgil e Uiltucs.
Il sindacato ha un po’ stigmatizzato la nota, affermando che “alcune tornate di licenziamenti collettivi nel settore dell’economia digitale sono in realtà utilizzate per fornire risposte agli investitori, ma anche per dimostrare l’esistenza di una certa bolla nel settore”.
“La prima riunione della revisione congiunta delle procedure non ha registrato alcun progresso. La complicazione di questa vertenza è dovuta alla difficoltà per il personale globale di comprendere le norme che regolano la gestione delle procedure di licenziamento nel nostro Paese”, continua il sindacato.
“Non solo: come accade spesso in questo settore, non c’è un controllo diretto a livello nazionale delle procedure, ma un controllo centralizzato in un solo Paese a livello europeo, il che comporta difficoltà a causa dei sistemi molto diversi di diritto del lavoro”.
Il futuro di 19 dei 21 lavoratori Yahoo di Milano è quindi appeso a un filo che si assottiglia sempre di più.
Non è soltanto Yahoo a essere coinvolta. I sindacati hanno anche denunciato Saleforce Italy, multinazionale californiana che opera nel settore software e del cloud computing indirizzati alla gestione aziendale e all’analisi dei dati.
“La società ha già avviato il procedimento di licenziamento collettivo che vede riguarda 34 dipendenti su 588, i quali lavorano nelle sedi di Roma e Milano”.
Secondo i sindacati, la società giustifica tutto questo con il rallentamento dell’economia, delle vendite, dei contratti e dell’abbassamento della percentuale di aggiudicazione gare d’appalto, a cui si aggiungono i rincari dovuti all’inflazione e lo spettro della recessione.
Nel corso del primo incontro per l’esame congiunto delle procedure, i sindacati hanno proposto diverse alternative ai licenziamenti, che vanno dal ricorso agli ammortizzatori sociali al job posting e fino all’esodo su base volontaria e relativo incentivo.
“I vari sindacati cercheranno di ridurre al minimo l’impatto sociale e quello sui lavoratori coinvolti”, ha assicurato i leader sindacalisti.
Dario Campeotto, direttore esecutivo della Fisascat Cisl, ha dichiarato: “Scelte aziendali sbagliate sono strettamente legate a investimenti eccessivi e a ritorni economici non all’altezza delle aspettative. Questa grande crisi del settore tecnologica dimostra per l’ennesima volta la fragilità dei modelli economici che governano le piattaforme digitali. Non possiamo permettere che i costi e i mancati profitti di questi colossi big tech vengano scaricati sui lavoratori”, ha aggiunto il sindacalista.
“I licenziamenti avranno conseguenze inevitabili per tutte le aziende che sempre più spesso affidano la gestione al cloud e rischiano di perdere il personale incaricato alla gestione digitale”.