FABIO+TREVES+%23%23+Milanese+di+Milano%2C+66+anni%2C+bluesman
imilanesinanopressit
/fabio-treves-milanese-di-milano-66-anni-bluesman/amp/
Categories: StivaVideointerviste

FABIO TREVES ## Milanese di Milano, 66 anni, bluesman

Fabio Treves, milanese di Milano, classe 1949, da quarant’anni è l’impersonificazione del blues italiano. Partito da Lambrate con la sua armonica – da qui il nomignolo Puma di Lambrate in risposta al Leone di Manchester, il grande John Mayall – ha suonato in mezzo mondo e collaborato artisticamente con tutti i più grandi artisti del genere. Gente come, fra i tanti, Sunnyland Slim, Johnny Shines, Homesick James, Roy Rogers, Willy De Ville, John Popper, Linda Gail Lewis etc. Fra gli italiani, invece, Treves ha fatto sentire la sua armonica duettando con Elio e le Storie Tese, Enzo Jannacci, Eugenio Finardi, Pierangelo Bertoli, Angelo Branduardi e via dicendo. Conduttore radiofonico, nel cast di tanti programmi Tv  – tutti quelli di Renzo Arbore – in tour con star del rock (a ottobre 2015 con i Deep Purple), il Puma di Lambrate nel 2014 ha portato a casa l’Ambrogino d’Oro per meriti culturali. Insomma, una vita e una carriera straordinaria, la sua, che qui racconta in maniera divertente e appassionante. Spazio, quindi, all’incontro con Jimi Hendrix, l’amicizia con Finardi e Jannacci, gli insegnamenti del padre Gaddo Treves (psichiatra e concorrente di Lascia o raddoppia? sul cinema…), il concerto di Ella Fitzgerald, la cassoeula, Chinatown, i Rolling Stones, Bruce Springsteen, i tremila matrimoni…

Trascrizione videointervista a FABIO TREVES

Video / 1

BORN IN MILAN
Io sono nato a Milano, nella clinica Macedonio Melloni. Ho vissuto 66 anni e passa qui. Quindi, anche se parlo poco il dialetto, sono così: milanese.

MUSICA METROPOLITANA
Il blues che suono è un blues metropolitano, un blues che sente il pulsare e lo sferragliare della metropolitana.

IL LEONE DI MANCHESTER
Nel 1977 a Milano doveva arrivare John Mayall, il grande padre del blues inglese il cui soprannome è Leone di Manchester…

IL PUMA DI LAMBRATE
… Allora un giornalista scrisse: “Bene, ma non dimentichiamo che qui a Milano abbiamo Fabio Treves, il Puma di Lambrate”. Questo nickname, questo nomignolo simpatico, mi è rimasto per tutti questi quarant’anni, mi ha accompagnato e devo dire che mi ha portato anche fortuna, perché poi molti per strada mi riconoscono e mi salutano sempre allo stesso modo: ”Ehi! Ciao Puma”.

LAMBRATE ON MY MIND
Lambrate è rimasto il mio luogo di partenza sul lungo cammino del blues. I primi concertini sulla panchina erano al parco Lambro che era ovviamente a Lambrate.

BUONA MUSICA DI PADRE IN FIGLIO
La musica ho incominciato ad apprezzarla perché mio padre era un amante di buona musica. Era un personaggio particolare, uno dei primi concorrenti di “Lascia o raddoppia”, neurologo e psichiatra di fama, grande appassionato di film, buona musica e letture importanti.

DALLA BOSSA NOVA AL BLUES
Insomma, a casa mia si ascoltava buona musica. Intendo sia Toscanini che dirige la New York Philharmonic Orchestra che la bossanova, il jazz, Miles Davis, il bebop, il traditional e anche il blues… Quindi vediamo i ’60 quando in Italia è arrivato il beat, il primo pop. io sentivo che c’era qualcosa di familiare.

MILLE PUNTI CON JIMI HENDRIX
Al Carducci, che era il mio liceo classico, chi arrivava a scuola con il disco sottobraccio di Jimi Hendrix era uno che, nel ’67, acquistava dei punti in più rispetto a chi sentiva Morandi, la Caselli o Celentano…

IO E FINARDI, THE BLUES BROTHERS
Vanto un’amicizia che dura quasi da cinquant’anni con Eugenio Finardi, che è il mio “blues brother”. Lui era “Eugene l’americano” perché quando c’erano questi concorsi studenteschi ogni scuola mandava un rappresentante, e lui faceva la sua bella figura perché cantava in americano, era di madrelingua americana, mentre noi scimmiottavamo cantando ”Auonna gonna, beibi beibi…”. Poi lui faceva già del rock blues di buona levatura, io invece mi presentavo con le mie armoniche e facevo Hoochie Coochie Man che durava minuti. Non ho mai vinto un contest, ovviamente.

IL LAMBRO COME IL MISSISSIPPI
Scherzando dico che per me il mio Mississippi è stato il fiume Lambro.

IL BLUES A MILANO
È il blues delle nevrosi tipiche delle metropoli, il blues dei vecchi capannoni delle fabbriche che ormai rimangono lì.

QUEL BLUES DI JANNACCI
Il blues è anche nei personaggi che ha raccontato un altro mio carissimo amico che non c’è più, Enzo Jannacci. Sono comunque dei personaggi blues Gigi Lamera, che abitava dietro a Baggio e che pur di non raccontare alla moglie che aveva perso il lavoro si vestiva tutti giorni e faceva finta di andare a lavorare “Ben annodata la cravatta dell’Upim”.

QUELLA MILANO CHE NON C’È PIÙ
Quella Milano lì è la Milano che mi manca. Il personaggio del ganassa, il personaggio del giocatore, il personaggio del dandy, il personaggio dello sfigato sono blues perché il blues racconta la storia di tutti giorni.

I MIEI LUOGHI
Sono tre i luoghi: Piazza Susa fino ai 10 anni, piazza Piola-Città Studi dai 10 ai 20 e passa anni, È del 1972 ad adesso zona Loreto-Lambrate.

LA CASSOEULA DI BAGGIO
E poi c’è l’osteria La Grande di Baggio a cui posso telefonare e dire: ”Allora mi fai la Cassoeula?” e mi fa la cassoeula, ormai trovare un ristorante a Milano che fa la cassoeula è impossibile. “Ma come la vuoi, bella grassa? O la faccio un po’ magra?”, mi fa lui. “No no fammi la cassoeula come la sai fare tu”. Lui è Bob lo Smilzo…

GLI SCAVI DELLA METRO
Uno dei miei ricordi più forti risale agli anni ’50, quando ho visto i primi lavori della metropolitana e andavo lì dove c’erano i pensionati che andavano a guardare quello che succedeva in cantiere. Gli operai scavavano e non si vedeva il fondo in corso Buenos Aires.

CHINATOWN
Ma Chinatown ce l’hanno tutti: San Francisco, New York, Los Angeles… Non si capisce perché Milano non debba averla. Non puoi fare il sostenuto, non puoi fare razzista, e poi essere diverso, migliore… E poi è sempre così: se accetti, quasi sempre sarai accettato.

Video / 2

AMBROGINO D’ORO (E IL BLUES)
Il fatto di avere preso un Ambrogino d’Oro da un’amministrazione che ha riconosciuto il mio impegno, la mia cocciutaggine per la diffusione di una cultura blues – perché è una cultura vera e propria – mi ha fatto molto piacere, ovviamente.

1974, ECCO LA TREVES BLUES BAND
Sono stato fortunato. Quando sono partito nel 1974 e ho deciso di formare la Treves Blues Band la situazione a Milano era quella del rock progressive, il jazz d’avanguardia e di rottura, il cantautorato politico, i canzonieri che fiorivano come niente… E poi c’ero io che facevo blues. ”Che cosa fai? Jazz?”. No, blues. “Vabbè, la stessa cosa…”. Questa era Milano in quegli anni.

IL BLUES È FINITO…
L’inizio è stato difficile, la gente mi diceva ”Ti metti a fare blues? Ma guarda che il blues tra pochi mesi, non anni, nessuno se lo baderà più”.

GRAZIE RENZO
E invece no, sono stato fortunato E ho trovato il mio Grande grande mentore, uno dei pochi che ha creduto da subito in me: Renzo Arbore. Mi ha chiamato all’Altra domenica nel ’78, Quelli della notte nell’85, Doc nell’88.

DOPO I DEEP PURPLE, I ROLLING STONES?
Qualche mese fa ho avuto la grande soddisfazione di aprire quattro concerti italiani dei Deep Purple, da sempre uno dei miei gruppi preferiti, e mi sono detto perché non ragionare in grande? Sognare non costa niente, mai dire mai. Allora mi sono messo in contatto con un mio carissimo amico che è Chuck Leavell, che ormai da vent’anni fa tutti i tour con i Rolling Stones. Allora gli ho detto: “Lo sai che ho aperto i concerti italiani dei Deep Purple?”, e poi la butto lì: ”Noi siamo disponibili, tu parla con i ragazzi… Semmai doveste avere bisogno di un gruppo che fa venti minuti veloci prima di voi…”. Ha detto: ”Guarda nella vita mai dire mai”.

E BRUCE SPRINGSTEEN?
E poi ci sarebbe il non plus ultra… Visto che sono un fan di Bruce Springsteen e visto che sono molto amico dell’organizzatore dei concerti italiani di Bruce Springsteen, Claudio Trotta, al quale ormai mi lega un’amicizia quarantennale, l’ho buttata lì anche con lui.

L’EREDE DI PISAPIA
Un clone di Pisapia, uno che non è politico di professione.

7 ANNI IN CONSIGLIO COMUNALE
L’unica cosa che ricordo dei miei sette anni in consiglio comunale è stata quando è arrivato il Milan e ho potuto conoscere Gullit di persona, quand’è arrivato Sting e gli hanno detto l’Ambrogino d’Oro, il pass per il mio furgone…

HO SPOSATO 3000 COPPIE
I matrimoni che facevo, circa 3000, con la fascia tricolore…. Invece di mettere la marcia nuziale cantata mettevo un pezzo dei Blues Brothers.

VECCHIONI, COSTA  E TEOCOLI
Ho sposato Roberto Vecchioni, che anche se è interista vabbè l’ho sposato lo stesso, poi Lella Costa, Mario Lavezzi, la sorella di Claudio Bisio e anche, mi sembra, Teo Teocoli…

SÌ ALLA MOSCHEA
Penso che qualsiasi fede debba avere un proprio luogo di culto, quindi dico di sì alla moschea a Milano. E se dicessi di no mi sentirei come tanti che ragionano sull’onda di quell’incazzatura generale che c’è. Non sarà certo un luogo di culto in più a determinare il disastro perché il vero disastro, secondo me, è nella testa delle persone.

Video / 3

MI RICORDO, SÌ, MI RICORDO
Nonostante siano passati più di cinquant’anni il ricordo più bello è una serata di Ella Fitzgerald vista assieme a mio padre. Io ero poco più che un ragazzino, sarà stato il ’62 o ’63, e tutto avvenne al teatro Lirico, ma non sono sicurissimo, non vorrei sbagliare… Mi ricordo di Ella Fitzgerald con l’orchestra, un concerto incredibile.

JIMI HENDRIX N°1
Al secondo posto metterei lo show di Jimi Hendrix all’ex Piper, in zona Parco Sempione, quello sotto il Teatro delle Arti. Avevo 19 anni e arrivava questo gigante della musica pop rock. Io mi aspettavo un omone grande e grosso con delle mani nodose e invece trovai una personcina abbastanza esile, più piccolo di me, con mani lunghe e affusolate. Io ero lì con la mia macchinetta e feci delle foto durante il concerto. Prima, emozionatissimo, mi ritrovai a un metro e mezzo da lui mentre stava per salire sul palco a provare. Non sapevo cosa dirgli e così gli feci: ”Ehi Jimi, ma lo sai che anche io sono nato il tuo stesso giorno il 27 novembre?”. Uno si sarebbe aspettato che rispondesse: “Vabbè, allora? Chi se ne frega? E invece: ”Oh yeah, great!”, mi prese sottobraccio e qualcuno ci fece una fotografia. Ecco, quella fotografia la sto aspettando dal 1968. Non sono mai riuscito a trovare quella mia fotografia. Faccio un appello. Se leggi, ioosno qui. Fammi avere la foto!

MILANISTA DISPERATO
Qualcuno mi ha chiesto di recente: “Come ti definisci adesso da milanista?”. E io ho detto, con il mio solito ottimismo, ”moderatamente disperato”. Persone che hanno mangiato bene per tanti anni è veramente molto difficile che si accontentino dell’hamburger del fast-food.

ALLO STADIO CON JANNACCI
Un grande milanista era Enzo Jannacci, solo che io ed Enzo quando andavamo allo stadio era diventata un po’ una sofferenza: non c’era ancora il terzo anello e bisognava fare file incredibili per arrivare a sedersi. Per esempio ai derby dovevi uscire la mattina… Allora una volta Enzo mi fa: ”Si po’ minga la mattina, fem qualcosa”. “Cosa vuoi fare?”, gli dissi. “Tenga minga un pennarel?”. Tiro fuori un Pentel Pen e lui comincia a scrivere sul gradone “Jannacci” e di fianco “Treves”. La partita seguente arriviamo lì tranquilli ed è tutto pieno. Allora Enzo fa: ”Ma quello lì è il mio posto” e quello seduto fa: ”Quello è il posto?” e io gli dico: ”Certo, lui è Jannacci eh!”. ”Ah, me scusa”, rispose. E io sono Treves, dissi all’altro vicino, e ci siamo seduti.

IL PRIMO RINGRAZIAMENTO
Lo devo a mia moglie Susanna, per il suo amore e tutto quello che ha sempre fatto per me. E poi a mio padre, per gli insegnamenti che a distanza di 45 anni dalla sua morte ricordo giorno dopo giorno.

IL BELLO DI MILANO
Il bello di Milano è l’estrema tolleranza e la gran voglia di guardare in positivo la giornata.

Video / 4

L’INCONTRO CON FRANK ZAPPA
Io sono andato con Claudio Trotta a conoscere Frank Zappa a Monaco di Baviera nell’88. Qualche mese dopo Trotta avrebbe organizzato il tour in Italia di Zappa, che purtroppo fu l’ultimo che fece in Europa. Facemmo abbastanza anticamera perché stava preparando la serata quando uscì improvvisamente. Il mio sguardo e il suo si incrociarono e lui capì subito che non ero solito invasato, giornalista o musicista. Ed io capii che lo conoscevo da sempre, poteva essere mio fratello. Io non dissi una parola, mi presentai ma non dissi più di tanto. Zappa questa cosa la accettò in maniera così totale che fece una cosa che i musicisti di Zappa, a distanza di anni, mi hanno confermato come straordinaria: mi chiamò sul palco suonare insieme. Zappa suonava soltanto ed esclusivamente con i musicisti della sua band. Lo disse, lo confessò tante volte, come forma di amicizia, di riconoscimento della mia passione per lui. Al concerto di Milano mi disse, poco prima di salire sul palco, ”ma se ti chiamassi sul palco?”. E io risposi: ”Maestro, non mi prenda in giro, perché il mio cuore potrebbe risentirne”. E lui: ”No no, hai le armoniche?”. Io avevo le mie armoniche. Così mi disse: ”Ti chiamo io!”. E io: “Ma che pezzo è? Che tonalità è?”. “Non preoccuparti, al momento debito saprai tutto”. Una roba del genere ti sconvolge, ti destabilizza. Poi mi chiamò e mi disse: ”Questa è la tonalità”. Era un pezzo che conoscevo, però sai, sentirsi dire “questa è la tonalità” e poi salire sul palco di fronte a dieci mila persone e suonare con Frank Zappa, sapendo che lui da anni anni anni non chiamava più nessuno sul palco è una cosa da brividi…

IL BIS A GENOVA
Andò bene, suonai, anche se non mi ricordo niente… Però evidentemente lo feci con lo spirito giusto, quello che Zappa si aspettava perché poi che mi disse: ”Io domani sono a Genova, vieni?”. E io: ”Guarda che io vengo a tutti i concerti che farai in Italia”. A Genova ci fu questo concerto al Palasport e lui mi disse la stessa cosa: ”Allora, preparati che stasera ti chiamo”, quindi sono stato chiamato due volte a Milano e a Genova.

LA SCALA NEGATA
Nell’autobiografia di Zappa lui mi cita e mi chiama un anarchico, perché Zappa racconta quando lo accompagnai. Lui infatti mi chiese di accompagnarlo in Comune perché nell’88 voleva chiedere il Teatro alla Scala per una rappresentazione di un’opera come ”Dio fa”, una sua opera rock. ”Fabio”, mi disse, “ho questa idea qui, secondo te mi danno la Scala?”. E io: ”Maestro, non pensarci: la Scala non la danno a nessuno”. “Ma io la voglio proporre per i Mondiali di calcio ’90 che ci saranno in Italia a Milano, ho già gli sponsor, ho già la mondovisione”. Gli dissi: ”Guarda, per procurare l’incontro non c’è problema: andiamo”. Siamo andati. Il Comune, nella persona del sindaco di allora e dell’assessore alla Cultura di allora, dissero no…

TREVES L’ANARCHICO
Il figlio quando ricevette le mie foto mi disse: ”Adesso mi ricordo di te, tu sei quello che compare nell’autobiografia di mio padre. E nell’autobiografia di mio padre dice: “Sono andato a richiedere la Scala a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, erano presenti il sindaco (un socialista), l’assessore alla Cultura (un comunista), Fabio Treves (un anarchico)”. E per me quelle due righe di Zappa penso che le metterò sulla mia lapide, se mai qualcuno deciderà di farmi una lapide. Metterò l’ultima frase: “Fabio Treves, un anarchico”. Firmato Frank Zappa.

CREDITI
La videointervista e il servizio fotografico a Fabio Treves sono stati realizzati negli spazi del ristorante bar 22Milano (via Principe Amedeo 2/7), che si ringrazia per la preziosa e cortese collaborazione.

Published by
andrea_scarpa