Nel caso riguardante Alessia Pifferi ora si mette in risalto un’altra vicenda, associata al suo vicino di casa e strettamente correlata a lei. Lui infatti è indagato per favoreggiamento di prostituzione.
In base a quanto dichiarato dalla stessa Procura, l’uomo aiutava la Pifferi a organizzare degli incontri a pagamento con degli uomini. La donna è a processo con l’accusa di omicidio volontario del genere pluriaggravato di sua figlia.
Attenendosi alla ricostruzione della Procura che ha provveduto con l’analisi delle chat sul telefono della Pifferi, si è capito in che modo agiva il suo vicino.
Difatti l’uomo avrebbe dato un aiuto alla 38enne, che attualmente si trova a processo dinanzi alla Corte d’Assise della città milanese. In che modo?
Procurandole la clientela e, in cambio, riceveva dalla donna delle prestazioni sessuali in forma gratuita. Questo fatto sembra essere emerso il lunedì 3 luglio all’interno dell’aula.
Nel momento in cui il vicino si è dovuto presentare in seguito alla sua convocazione, in qualità di testimone, ha deciso di avvalersi della facoltà di non dare alcuna risposta.
L’indagato abitava esattamente al piano inferiore a quello di Alessia Pifferi e lo scorso sabato ha ricevuto un avviso di garanzia.
Oltre quest’ultimo, gli è stato anche consegnato l’invito di andare a testimoniare durante il processo.
Il lunedì mattina, però, l’uomo non si è presentato in aula. Pertanto è stato accompagnato in modo coatto dai carabinieri, con l’assistenza del suo avvocato.
I pm della città di Milano Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, oltre ai loro investigatori, sono convinti che tale situazione corrisponderebbe a una prova lampante. Facendo riferimento al modo di vivere della Pifferi e delle condizioni in cui faceva vivere la sua bimba.
Al contrario per l’avvocata Alessia Pontenani, che sta difendendo la Pifferi, ciò equivale alle condizioni di disagio sia economico che dal punto di vista sociale, nel quale avrebbe vissuto Alessia Pifferi.
Dunque il vicino di casa di Alessia Pifferi ora risulterebbe indagato proprio per via dei contenuti trovati nelle chat della donna. Ciò in quanto tra i due non sarebbe avvenuto uno scambio di denaro, ma dei favori particolari che si scambiavano uno con l’altra.
Da quanto appurato, lui avrebbe chiesto alla Pifferi delle prestazioni di genere sessuale per sé, senza dover pagare.
Per ricambiare, l’uomo le cercava degli uomini che invece l’avrebbero pagata, per avere dei rapporti con la donna. Questa nuova rivelazione scaturita grazie al lavoro metodico da parte degli investigatori, può rispondere così a diversi interrogativi.
Uno di questi era sicuramente quello che in molti si chiedevano: in che modo poteva la 38enne che risultava ufficialmente disoccupata, permettersi un modo di vivere alquanto lussuoso?
Uno stile di vita basato pure sul noleggio di auto private con un costo di 300 euro a tratta, su molti abiti da sera e su viaggi in limousine.
La donna pur vivendo nell’estrema periferia della città di Milano, riusciva ugualmente a condurre un tenore di vita molto al di sopra delle sue possibilità.
Ma la Pifferi utilizzava queste entrate unicamente per pagarsi le sue sere romantiche, mentre per quanto riguardava la gestione della figlia Diana, si è capito che risultava assai superficiale.
Questo si è potuto constatare quando è stata ritrovata la bambina morta, la quale presa dai morsi della fame, ha probabilmente ingerito dei pezzi del suo pannolino ritrovati all’interno del suo stomaco. Una morte di stenti terribile, all’interno di un appartamento bollente e causata dalla sua stessa madre. Una figura che invece avrebbe dovuto proteggere la figlia.
Una volta uscito dall’aula, il vicino di casa si è fermato a parlare con dei giornalisti.
Ha detto loro che è stato una delle prime persone a entrare nella casa della donna, dove si è trovata a figlioletta morta di stenti.
La sua narrazione ha molte similitudini con quella di un’altra vicina, che ha fatto la sua testimonianza lunedì mattina. Mentre parlava la vicina ha detto che la Pifferi non ha mai pianto per la morte della figlia.
Quando infatti ha ritrovato la bambina morta, si è preoccupata per se stessa, a tal punto da chiedere proprio alla vicina se l’avrebbero arrestata per la morte della figlia Diana.
Nello specifico la vicina di casa in aula, nel ripercorrere quella mattina del 20 Luglio ha detto:
“Intorno alle ore 10:00, mi citofona agitata.
Alessia le avrebbe detto che la bambina non respirava più. Poi la vicina ha continuato così:
“Siamo salite e siamo entrate nella camera e ho visto la bambina. Era supina, con una magliettina che le copriva fino al pancino, aveva le manine e i piedini scuri, aveva gli occhi chiusi e le palpebre scure”.
A quel punto Alessia avrebbe chiesto alla donna se la bambina fosse morta.
La vicina a tal proposito dice
“Io non ho risposto. Siamo rimaste lì pochi secondi, poi l’ho fatta sedere sul divanetto in sala, spostando le valige, Alessia Pifferi era appena rientrata dopo qualche giorno fuori casa.Mi ha raccontato che aveva lasciato la bimba con una baby sitter, ma al suo rientro non c’era. Ha chiamato il 118 dicendo che la bambina non respirava, poi mi ha passato il telefono e io ho detto ‘Guardi, per la bambina non c’è più niente da fare’. Lei ha chiamato il compagno e gli ha detto ‘Diana è morta’”.
Insomma una storia che ha dell’incredibile.
La piccola Diana aveva soltanto un anno e mezzo ed è morta a causa delle privazioni, in seguito all’abbandono da parte di sua madre. Quest’ultima l’ha lasciata da sola nell’appartamento dove abitavano insieme, per ben 6 giorni.
Il suo corpicino è stato poi ritrovato nell’abitazione di via Parea lo scorso 20 luglio.
Il processo è stato rimandato al prossimo 19 settembre. In quella data si ascolteranno gli altri testimoni e si andrà a esaminare l’imputata in aula. Inoltre sempre durante questa prossima udienza, si effettuerà la convocazione dei consulenti di difesa.