Il portiere della squadra dei rifugiati, Issaka Coulibaly, è morto di freddo: senza casa, né documenti fu ritrovato per strada ormai privo di vita.
Si mise in cammino verso l’Italia, sognando un futuro migliore, ma nel Belpaese Issaka Coulibaly è morto di freddo. Il giovane di 27 anni, proveniente dal Togo, aveva giocato come portiere nella squadra dei rifugiati. Una promessa del calcio, che – però – non ha avuto la fortuna di splendere sul campo, a causa di mancanza di documenti e di un lavoro che gli avrebbero permesso di restare da regolare nel nostro paese.
Issaka Coulibaly, il portiere 27enne morto di freddo
Il 25 novembre 2022, Issaka Coulibaly è stato ritrovato morto, in strada. Il giovane, proveniente dal Togo, aveva 27 anni ed era arrivato in Italia per costruirsi un futuro migliore, lavorando nel mondo del calcio. Una speranza che si è dissolta quel triste giorno, quando il ragazzo ha perso la vita. A due mesi dalla morte, si apprende che non è stato aggredito. Il suo corpo non mostrava segni di colluttazione.
Il ragazzo, infatti, è morto per cause naturali, se così si può dire: ad ucciderlo il freddo che ha sentito, fino agli ultimi istanti della sua vita, in quanto non aveva un tetto sotto il quale ripararsi, né un piatto caldo da mangiare. Le sue speranze, dunque, si sono spente con lui: una morte che si poteva evitare, dando a questo ragazzo una possibilità di riscatto.
Il commento della società sportiva St. Ambroeus
Quando Issaka arrivò in Italia, fu reclutato dalla società sportiva St. Ambroeus. Il giovane mosse i primi passi nel calcio svolgendo il ruolo di portiere, per il quale aveva una grande predisposizione. Il suo talento era stato notato fin da subito.
La stessa società, in un post sui social, ha spiegato che il ragazzo era entrato a far parte, cinque anni fa, di una squadra per rifugiati che è stata la prima ad essere stata iscritti ai campionati Figc.
La società si dice addolorata e rammaricata per quanto accaduto al giovane portiere. Un decesso per il quale prova “molta rabbia”, in quanto parlare di “morte naturale” è paradossale, soprattutto in un città come Milano, sottolineando il fatto che la vita di Issaka poteva essere salvata semplicemente dandogli la possibilità di “vivere regolarmente con dei documenti“.
In tal senso, oggi – sottolinea la società – non avremmo parlato della sua morte, che lascia l’amaro in bocca.