Matteo Caccia ha 40 anni, è nato a Romentino (Novara) ed è un attore, un autore, uno scrittore. Caccia è anche e soprattutto un narratore che nel 2008, dopo anni di attività in teatro, si è imposto all’attenzione del grande pubblico con Amnesia, programma trasmesso da Radio2 che ruotava intorno a una storia incredibile: l’8 settembre del 2008 Matteo inizia a raccontare che un anno prima, mentre si trovava in teatro, era stato colpito da un’amnesia retrograda globale. Nel programma Matteo tiene un diario in cui ricostruisce i pezzi della sua vita. Radio2 trasmette l’ultima puntata dell’ormai cult Amnesia il 31 luglio 2009 durante la quale Matteo svela ciò che tutti si sono chiesti: si tratta di vera amnesia o è una storia inventata? La risposta come molti immaginano è la seconda. Al momento, invece, Matteo Caccia è impegnato, sempre su Radio2, con Pascal – storie, persone, meteorologia, in onda dal lunedì al venerdì, in diretta su Radio2 alle 19. A Milano, infine, Matteo Caccia ogni primo lunedì del mese, al Pinch di Ripa di Porta Ticinese 63, è il protagonista e il padrone di casa delle serate intitolate Don’t tell my mom, il primo live story show mai fatto in Italia. Funziona così: chiunque, iscrivendosi in precedenza via mail (nonditeamiamamma@gmail.com), può raccontare sul palco quello che vuole, soprattutto quello che non direbbe mai alla propria madre. Due i limiti: non leggere e non superare i 5 minuti. Si ascolta di tutto. Se ce la fate, non perdete queste serate. Non chiedono niente, sono gratis, e danno tanto. Nell’intervista per iMILANESIsiamoNOI, Matteo racconta gli anni di studio a Milano, i cambiamenti professionali, i microghetti, i “creativi”, la milanesità e tre aggettivi.
Trascrizione videointervista a MATTEO CACCIA
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UN LUOGO UTILE
Io sono l’unica persona, dei miei compagni di scuola, dei miei amici novaresi, a essermi trasferito a Milano. La metà lavora a Milano, ma tutti vanno e vengono perchè l’idea è che (Milano) è un luogo utile, perché c’è tutto, però è un luogo caotico, brutto… Questo posto quì è un posto che nasconde un po’ la sua bellezza, però quando hai modo e voglia di cercarla è un bel posto dove stare.
LE PRIME COSE
La prima cosa che ho fatto quì, insieme all’università, è stata l’Accademia di Teatro… dopo la quale ho cominciato a fare l’attore di prosa..
LA RAI A MILANO
Poi ho smesso di fare l’attore e ho cominciato a fare la cosa che faccio adesso, soprattutto alla radio, alla Rai, a Milano, che è diversa dalla Rai di Roma, dalla Rai di Napoli, dalla Rai di Torino. E quindi indubbiamente la piega che ho preso dopo, quando ho smesso di fare l’attore e ho cominciato a fare un po’ più l’autore e scrivermi delle cose per me, l’ho cominciata perché stavo qui e grazie a questa città.
IL LAVORO C’È
Io credo che se uno vuole cercare un lavoro, magari non il lavoro della tua vita… però a Milano, se lo cerchi veramente, in due settimane lo trovi. Non c’è bisogno per forza di conoscere qualcuno che conosce qualcuno che ti fa conoscere qualcuno.
LA MIA FORTUNA
Ho la fortuna di avere un lavoro che mi piace, di essermelo in parte creato e di continuare a farlo e quindi difendo quella cosa lì. Difendo quella piccola identità professionale che mi sono creato e che Milano mi ha dato la possibilità di crearmi. Questo è sicuro, non so se l’avrei potuto fare in qualche altro luogo.
MILANESI, PERCHÉ
Perché non alzate mai la testa, ad esempio, perché qui si tende a camminare sempre con la testa bassa? E poi perché gli aperitivi? cosa c’è li?!
SENTIRSI A CASA
È difficile trovare un posto, una situazione o un gruppo ma quando ci sei entrato in quel posto lì ti senti a casa… forse perché è fatto, passami il termine, di orfani cioè di persone che per lo più sono venute da fuori. Sono venute da fuori per cercare un lavoro e quindi è più facile incontrarsi fra persone che non hanno familiari vicini e che quindi hanno quelle esigenze che hai quando non hai una famiglia con te.
CHIUSI? SÌ, NO FORSE
Milano e i milanesi si raccontano un po’ meno, cioè chiacchierano di meno, parlano un po’ meno in generale, urlano un po’ meno rispetto a una tradizione latina che questo Paese ha, però in realtà io trovo che quando hai quella cosa in comune, che sei qua da solo e stai cercando (di capire) che cosa vuoi fare nella tua vita, si crei un substrato che fa si che se entriamo in contatto io e te, .quella roba li rimane. Poi magari non diventiamo amici per forza, però rispetto al cliché dei milanesi che sono chiusi… Poi è vero che a volte non sai chi è il tuo vicino di pianerottolo, però magari vuoi anche che sia così.
I MICROGHETTI
Se vuoi forse il rischio a Milano è di chiudersi in microghetti per cui quel locale, quel posto, quella scuola sono frequentate sempre dalle stesse persone e ci sono probabilmente a Milano dei luoghi che secondo me è anche giusto smitizzare e prendere magari un po’ in giro… Sono quelli della cosìddetta classe creativa per cui a Milano è difficile trovare uno che fa l’idraulico per strada perché sono tutti designer, giornalisti, grafici pubblicitari o lavorano nella comunicazione. Ecco quella roba lì, ogni tanto può sembrare un po’ ridicola.
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LA MILANESITÀ 2.0
L’idea del milanese che abbiamo alla Jannacci c’è sempre di meno e secondo me la milanesità è diventata un coacervo di persone che arrivano dal Sud, dal Centro, dal Nord-Est e dal Nord-Ovest che semplicemente hanno in comune che vivono in questa città. Le persone che ci vivono hanno un sacco di roba da fare o perlomeno danno questa sensazione. Diciamo che bisogna semplicemente rompere un po’ quella barriera che si tira su per mille motivi per proteggersi, per riuscire a fare cinque cose in una giornata, cosa che altre città non ti permettono di fare. Cinque cose in una giornata o di più, dico minimo, e dietro quella scorza lì ci sono semplicemente degli esseri umani che hanno delle vite come le hanno in qualsiasi altro luogo.
È BRUTTA O NO?
Se Milano fosse meno automobilizzata secondo me sarebbe un po’ più esposta nella sua umanità. Camminando per la città non è che diventi amico di quello che incontri sul marciapiede, però l’umanità della città si incontra soprattutto così… Milano fa della sua negazione un punto di forza, cioè quando tu vai in un posto bello a Milano la prima cosa che dici è “Guarda, non sembra neanche di stare a Milano”. Sempre. In realtà è pieno di posti così, da Parco Sempione alla Triennale o in alcuni angoli di Porta Venezia, l’Isola, i Navigli… Però rispetto ad alcune città italiane è meno evidentemente bella.
I LUOGHI DEL CUORE
Il primo è quello che ho frequentato appena arrivato a Milano, i primi tre anni: via dei Filodrammatici, che è nel pieno centro di Milano, di fianco alla Scala dove si trova il Teatro dei Filodrammatici e l’accademia che io ho frequentato. Praticamente per me Milano era quel posto lì e quindi quella zona del super centro di Milano è stato proprio un luogo in cui ho vissuto per due anni, in cui ho capito che mi piaceva fare quel mestiere, in cui ho conosciuto una ragazza di cui mi sono innamorato in Accademia appena arrivato…Un altro luogo è il posto dove ho vissuto per nove anni, in una casa che sembrava quasi un paese che è lungo la Roggia Vettabbia, che è una piccola roggia che scorre a Milano Sud in un quartierino tra via Carlo Bazzi e via Ripamonti. Quella è una zona dove ho trovato un monolocale che comprai grazie anche all’aiuto dei miei genitori e dove rimasi per nove anni, che era incredibile perché sembrava di non stare a Milano: c’era un silenzio incredibile e c’erano le paperette in questa roggetta di fronte a casa. Poi c’è sicuramente la zona Ticinese, dove invece ho vissuto e praticamente vivo ancora adesso. In generale mi piacciono le vie più strette, non i vialoni larghi. Via Tabacchi, via Gentilino, la Trattoria della Madonnina, quelle zone dove ho vissuto, in diverse case, per diversi anni.
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WEEK END IN CITTÀ
Quando i primi anni di Accademia il venerdì scappavo per tornarmene in provincia e frequentare i miei amici, Milano continuava a essere semplicemente il luogo della fatica, della settimana, la città feriale dal lunedì al venerdì. Quando invece ho capito che c’era un mondo anche il sabato e la domenica, che aveva altri tempi, che aveva altri modi per poter vivere la città, ho capito – e sono passati un paio d’anni – che ci potevo tranquillamente vivere.
TRE AGGETTIVI
Anche se sembra assurdo: gioviale, calda, grigia. Quando facevo l’università, facevo lo Iulm, quindi zona Romolo, avevo scoperto un posto che conoscevano evidentemente in pochi che era una latteria, cioè fuori c’era scritto “Latteria”.
SORPRESE METROPOLITANE
Tu entravi e c’era un banco con pane, latte ovviamente, alcuni salumi, dietro cui c’era questo signore con un grembiule beige. Era gestito da lui e dalla moglie. Io non sapevo il suo nome, la moglie lo chiamava “Il Martelli”, si rivolgeva a lui dicendo “Martelli prendi questo…”. Così, per cognome. ”Chiedi al Martelli”. Poi c’era una porta e entravi in una minuscola sala da pranzo con dei tavoli e lei aveva una cucina e cucinava lei e ti faceva una cosa. Faceva tipo lo stufato, oggi c’è lo stufato. Questa signora quando eravamo lì a pranzo, quasi sempre, e a un certo punto entrava un ragazzo, credo maghrebino, marocchino, che vendeva degli oggetti. Appena entrava lei cominciava ”Oh signur, l’è arriva’ il vucumprà” e gliene diceva contro di ogni. ”No rumpa mi i ball, no, no”, poi però vedevi che lo portava in cucina e gli dava da mangiare.
CREDITI
La videointervista e il servizio fotografico a Matteo Caccia sono stati realizzati all’interno del locale Pinch – Spirits & Kitchen (Ripa di Porta Ticinese, 63, Milano), che si ringrazia per la preziosa e cortese collaborazione.