Un medico che lavorava al pronto soccorso dell’Ospedale San Giovanni Bianco è sotto processo con l’accusa di violenza sessuale.
Era esattamente l’1 settembre 2018. Il dottore, che risiede nella Bergamasca, andò a processo con l’accusa di violenza sessuale ai danni di un’infermiera, la quale stava lavorando al pronto soccorso dell’Ospedale San Giovanni Bianco, il quale fa capo all’Asst Papa Giovanni XXIII.
In base all’accusa, il medico avrebbe strusciato e palpeggiato l’infermiera più volte. Il dottore era arrivato in ospedale in moto.
Quando l’ha parcheggiata, sembrava essere su di giri. Questo dettaglio aiuta a capire cosa è successo dopo. All’epoca dei fatti, lavorava per una cooperativa di Treviglio.
Era stato indirizzato al San Giovanni Bianco in quanto c’era carenza di personale e doveva coprire turni e servizi che altrimenti avrebbero rischiato di non essere erogati.
Questo problema affligge da tempo il sistema sanitario. È stato poi trasferito ad Alzano Lombardo e Seriate, dove svolge la libera professione.
La prima udienza è avvenuta presso il Tribunale Collegiale. L’imputato era presente in aula con il suo avvocato difensore Alessandro Turconi.
Più indietro l’infermiera vittima, che ha denunciato la violenza sessuale, era assistita dal suo avvocato Giovanni Bertino. Parte civile si è costituta l’Asst Papa Giovanni XXIII.
“Quel giorno sembrava troppo euforico, per non dire su di giri e alterato”, ha affermato l’infermiera “Inoltre si era rifiutato di visitare i pazienti”.
Sempre lo stesso giorno aveva iniziato alle 20 il suo turno nel Pronto Soccorso. “Oltre a me c’erano un medico e due colleghi. Mi si è avvicinato da dietro e si è strusciato contro di me”.
“Io gli dissi ‘Torna al tuo posto, accendi il computer e fai il tuo lavoro’. Quando fu chiaro che l’imputato non era in grado di svolgere il suo turno al pronto soccorso, fu sostituito dal dottor Gianluca, che all’epoca era responsabile del pronto soccorso del San Giovanni Bianco”.
Al telefono chiesi al collega di fare un esame tossicologico completo. Mi disse di sì, ma poi cambiò idea. Quando sono arrivata, si era chiuso in bagno. Una volta che ho aperto la porta, era tutto allagato e nel cestino era presente un flacone di Lexotan“.