Omicidio Macchi, annullato il risarcimento a Stefano Binda

La Cassazione ha deciso di annulla il risarcimento a Stefano Binda, accusato ingiustamente di aver ucciso Lidia Macchi. L’uomo avrebbe dovuto ricevere 300mila euro per essere stato detenuto senza colpa.

 

Omicidio Macchi
Omicidio Macchi – imilanesi.nanopress.it

La Corte d’appello di Milano aveva riconosciuto a Stefano Binda un risarcimento pari a 303.277,38 euro per aver trascorso ingiustamente 1.286 giorni in carcere. L’uomo era stato accusato di aver ucciso Lidia Macchi, una studentessa di Varese assassinata nel 1987. Il 54enne, successivamente assolto dalle accuse, avrebbe dovuto ricevere l’indennizzo per il torto subito, ma non percepirà nulla perché lo ha deciso la Cassazione.

Annullato il risarcimento per Binda

Il risarcimento per Stefano Binda, ritenuto prima colpevole dell’assassinio della 21enne Lidia Macchi e poi assolto, è stato annullato. L’uomo non percepirà nulla per i 1.286 giorni trascorsi in carcere senza essere colpevole della morte della 21enne. La somma del risarcimento era stata stabilita ad oltre 300mila euro, ma la Cassazione ha deciso che il 54enne non ne ha diritto.

L’udienza si è svolta il 9 giugno davanti alla Suprema Corte. Il risarcimento era stato stabilito lo scorso ottobre dalla quinta sezione della Corte d’appello di Milano. La corte aveva accolto la richiesta dell’indennizzo presentata da Binda per detenzione ingiusta.

Un colpo di scena che in un lampo ha cancellato tutto quanto era stato fatto. La Cassazione ritiene che l’accoglimento della richiesta da parte dei giudici milanesi era dovuto ad una errata interpretazione della legge che prevede un risarcimento in casi come questo.

La motivazione del rigetto del risarcimento

Secondo la Cassazione, i giudici dovevano valutare se Binda col suo comportamento aveva contribuito a far commettere l’errore di accusarlo e quindi di tenerlo in carcere. La Procura generale considerava equivoca e mendace la sua condotta, tale da condurre allo sbaglio di accusarlo.

Patrizia Esposito, difensore di Binda, aveva sottolineato che la Procura generale aveva fatto ricorso ad elementi infondati e inammissibili. Secondo quanto sostenuto dal legale, Binda non ha avuto comportamenti che potessero indurre i giudici a ritenerlo colpevole dell’uccisione della Macchi.

L’arresto di Binda risale al 15 gennaio 2016. Il giovane finì in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Il processo di primo grado si svolse il 24 aprile del 2018 davanti alla Corte d’Assise di Varese e l’esito fu una condanna all’ergastolo. Il 24 luglio 2019 venne ribaltato il verdetto dalla Corte d’Assise d’appello di Milano, che dichiarò l’assoluzione per Binda.

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I fatti riguardanti l’assassinio della Macchi

La studentessa Lidia Macchi, 21 anni, venne ritrovata assassinata il 5 gennaio 1987. Prima che il suo corpo venisse ritrovato senza vita due giorni dopo aveva fatto una visita in ospedale ad un’amica. Il corpo della giovane venne rinvenuto nei boschi di Cittiglio, nei dintorni di Varese.

Secondo l’esito dell’autopsia, la ragazza era stata violentata e successivamente assassinata a colpi di coltello, arma mai identificata. Nello stesso giorno dei funerali la famiglia di Lidia trovò una lettera anonima dal titolo ‘In morte di un’amica’.

La lettera conteneva elementi che si riferivano al suo assassinio. Venne indagato Stefano Binda, in passato compagno di classe di Lidia, sospettato di aver scritto la lettera. Binda non ha mai ammesso di essere l’autore della lettera, ma venne condannato all’ergastolo e poi assolto nel 2021. La Cassazione ha confermato la sua assoluzione e sempre la Cassazione ora rigetta il risarcimento.

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