Tutti sanno come funziona la pensione di vecchiaia, ma in pochi conoscono questo cavillo che potrebbe impedirti di lasciare il lavoro con 20 anni di contributi.
Quello della pensione è un tema che diventa sempre più spinoso con il passare degli anni, complice anche una generale trascuratezza sulla questione. Come in molti sanno, comunque, la regola base per la pensione nel nostro Paese segue i dettami della Legge Fornero, datata 2011. Legge che, tuttavia, fa una distinzione fondamentale quando si parla di contributi, la quale potrebbe permettere o impedire di andare in pensione con 20 anni di contributi. Vediamo perché.
Partiamo da una certezza: la Legge Fornero stabilisce che si possa andare in pensione avendo maturato 20 anni di contributi e dopo il raggiungimento dei 67 anni d’età. Facile, no? In realtà, c’è un cavillo che molti dimenticano, e che penalizza coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996 in poi. Tutto è iniziato con la riforma Dini, una riforma del sistema previdenziale risalente all’agosto 1995.
Fatto interessante, questa legge ha influito forse ancor di più della legge Fornero sul destino dei pensionati italiani, ma essendo spesso meno citata, in molti non la ricordano. L’applicazione della riforma Dini portò alla nascita di un nuovo sistema pensionistico, di tipo contributivo. Il cambiamento, comunque, non avvenne sin da subito bruscamente, ma fu introdotto in modo graduale. Perciò, per un periodo il sistema contributivo e quello retributivo sono stati utilizzati in contemporanea, dando vita al cosiddetto “sistema misto”. Come funziona?
In sostanza, coloro che hanno versato più di 18 anni di contributi entro il 31 dicembre 1995 sono riusciti ad ottenere una pensione dall’importo maggiore rispetto a coloro che, a parità di anni di lavoro ed età anagrafica, non soddisfano questo requisito. Questo perché i lavoratori con 18 anni di contributi versati prima del 1996 hanno beneficiato, fino al 31 dicembre 2011, del calcolo della pensione basato sul sistema retributivo, più vantaggioso. Tutti coloro che, invece, non avevano maturato 18 anni di contributi entro il 1996, hanno beneficiato del calcolo retributivo solo fino al 31 dicembre 1995, dopodiché sono passati al calcolo contributivo. Cosa succede invece a coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996?
Che ne sarà delle pensioni dei lavoratori attivi dal 1996 in poi? Non c’è da disperare: la pensione con 20 anni di contributi è ancora possibile, ma potrebbe essere più difficilmente raggiungibile. Coloro che hanno iniziato a versare contributi dal 1996 in poi, infatti, oltre ad avere 67 anni d’età e 20 di contributi devono aver maturato un assegno previdenziale il cui ammontare sia pari almeno alla pensione minima, il cosiddetto “Assegno sociale”. A quanto ammonta?
Nel 2024, l’importo dell’Assegno sociale è pari a 530,50 euro al mese. Ciò significa che un lavoratore la cui carriera contributiva è iniziata dopo il 1996 deve aver raggiunto una pensione che ammonti ad almeno 530,50 euro al mese, con 20 anni di contributi e 67 d’età. In caso contrario, dovrà continuare a lavorare finché tale requisito non viene soddisfatto. Ovviamente, si tratta di una condizione di evidente disparità rispetto a chi ha versato contributi prima del 1996. Questi lavoratori, infatti, andranno in pensione al raggiungimento dei requisiti standard. A quanto ammonterà il loro assegno? Prendendo come esempio un lavoratore che per 20 anni ha guadagnato 20.000 lordi all’anno, l’importo dell’assegno a lui spettante ammonterà a 614 euro al mese.
La situazione, comunque, non è del tutto priva di vantaggi per i contribuenti post 1996: coloro la cui pensione è calcolata in base al sistema contributivo puro gode di altre “vie di fuga”, ad esempio la pensione a 64 anni al raggiungimento di alcuni requisiti.