Andare in pensione con 30 anni di contributi è una possibilità, grazie ad un paio di meccanismi di cui pochi sono a conoscenza.
Andare in pensione può essere a volte un traguardo difficile da raggiungere, tante le norme a cui prestare attenzione.
In pensione con 30 anni di contributi?
Quanti hanno versato 30 anni di contributi alla previdenza sociale, che si interrogano sulla possibilità di andare in pensione, possono avere una risposta affermativa.
Questo lo si deve ad alcuni “meccanismi” che lo consentirebbero. Tuttavia occorre prestare attenzione a delle condizioni prima di farne richiesta, ed avere le idee chiare.
Per tanti lavoratori non più giovani, che svolgono lavori stressanti o con orari di lavoro impegnativi, il pensionamento è visto come un traguardo molto desiderato.
Questi contribuenti più di altri si domandano se è davvero possibile andare in pensione con soli 30 anni di versamenti previdenziali versati, o i requisiti richiedono di un maggior numero di anni maturarti. Cerchiamo dunque di fare chiarezza.
Trattamenti pensionistici, mutati nel tempo
In passato, 30 anni erano considerati una quota adeguata sia per la maturazione delle prestazioni che per una pensione soddisfacente. Tuttavia al giorno d’oggi la situazione è cambiata.
Sicuramente, un trentennio di contributi non è affatto poco, in particolare nel mondo del lavoro di oggi, caratterizzato da carriere discontinue, caratterizzate da collaborazioni lavorative variegate con più aziende di lavoro alternate a periodi di disoccupazione.
In effetti, oggi è effettivamente possibile un pensionamento con 30 anni di contributi, tuttavia questo non è più redditizio.
Di frequente si sente affermare come le pensioni non siano più in grado di assicurare al “pensionato” quelle inevitabili spese mensili, ed aver accumulato esclusivamente 30 non garantisce una pensione al pari di un’inflazione sempre più alta.
Requisiti per la pensione di vecchiaia
La legislazione previdenziale italiana offre delle alternative per andare in pensione con 30 anni di versamenti regolari.
Innanzitutto, non possiamo non citare la pensione di vecchiaia, quel trattamento speciale previsto per chi ha lavorato per più di 30 anni:
- sono stati versati contributi per 20 anni,
- sono stati compiuti 67 anni,
questi dati sono gli stessi sia per i dipendenti che per gli autonomi/e.
In realtà, potrebbero bastare dieci anni di contributi versati, riguardo l’ammontare della pensione di vecchiaia, di norma gli importi variano in base al sistema di calcolo e all’anzianità contributiva.
Riguardo la pensione con 30 anni di contributi a 67 anni di età il calcolo può avvenire in parte con il sistema retributivo (per quanto versato fino al 1996) e in parte contributivo (per quanto corrisposto dopo 1996).
Il coefficiente di trasformazione 2022 del 5,575% per l’età di 67 anni deve essere applicato all’importo del contributo.
Questi sono stati considerati soprattutto per permettere di sopportare l’impatto delle trasformazioni demografiche in corso e, in primis per il progressivo invecchiamento della popolazione.
Pertanto, per ottenere una pensione di vecchiaia, il requisito dell’età anagrafica non è certo inamovibile.
In compenso, l’età pensionabile è subordinata ai necessari aggiustamenti periodici, sulla base della cosiddetta “aspettativa di vita“.
Se le speranza di vita aumentano, cresce anche il limite anagrafico per aver diritto alla pensione di vecchiaia.
Ape Sociale: andare in pensione con 30 anni di contributi
Da non dimenticare l’Ape Sociale, strumento nel quale gli enti istituzionali sembrano finora credere, al punto che si parla di una probabile estensione dello strumento anche per il 2023 (assieme a Opzione Donna). Non dimentichiamo che Ape significa “anticipo della pensione“.
L’Ape Sociale è una specie di “paracadute pensionistico” in attesa che siano raggiunti i requisiti per una pensione regolare. In ogni caso, un requisito di base è l’età minima di 63 anni.
È bene precisare che l’Ape Sociale consente il pensionamento con 30 anni di contributi, sebbene non è concesso a tutti i lavoratori.
In realtà, solo alcune categorie di lavoratori socialmente svantaggiati sono ammissibili. Si tratta soprattutto di disoccupati, badanti e invalidi civili con almeno il 74% di invalidità accertata.
In mancanza di queste categorie, il diritto alla pensione “agevolata” dell’Ape Sociale non sussiste.
In breve, rappresenta un anticipo del pensionamento statale, erogato dall’INPS a determinate categorie di persone, che gli permette di accedere al pensionamento all’età di 63 anni.
Per quanto riguarda l’Ape Sociale, invece, la sua entità è determinata in base alla futura pensione di vecchiaia a cui il beneficiario avrà diritto, fino a un massimo di 1.500 euro lordi per 12 mesi.
In conclusione, questa tipologia di pensionamento integrativo e agevolato è a disposizione dei lavoratori dipendenti, dei lavoratori parasubordinati e dei lavoratori autonomi, mentre non si applica a coloro che sono iscritti a una delle casse previdenziali per i lavoratori autonomi.