I lavoratori tra i 43 e i 58 anni potrebbero dover lavorare ancora per 10 anni. Quali sono i possibili scenari riguardo la pensione.
In Italia, l’età da raggiungere per poter andare in pensione ordinaria di vecchiaia è 67 anni. Questa è di per sé una cattiva notizia per i lavoratori e le lavoratrici nati nella fascia 1965-1980, che hanno dai 43 ai 58 anni. Questa categoria di persone, infatti, dovrà attendere nella maggioranza dei casi ancora 10 lunghi anni prima di godersi la pensione. Quali sono i possibili sviluppi futuri? L’INPS l’ha spiegato in un rapporto presentato recentemente presso il Parlamento.
Pensione in Europa: qualche dato
Quello delle pensioni è purtroppo un problema tutto italiano. A parità di età, infatti, i lavoratori di altri Paesi dell’Unione Europea hanno davanti a sé un futuro decisamente più roseo. Per citare qualche dato, in Austria si va in pensione a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne.
In Bulgaria l’età pensionabile è tra i 60 e i 63 anni, che diventano 61 e 62 per la Repubblica Ceca. In generale, quindi, sono pochi i Paesi in cui, come in Italia, l’età per la pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni.
Il rapporto INPS: brutte notizie per la generazione X
Secondo i dati divulgati in Parlamento dal presidente dell’INPS Pasquale Tridico, le prospettive previdenziali future che riguardano la generazione X non sono promettenti. La generazione nata tra il 1965 e il 1980, infatti, è da sempre quella che risente maggiormente delle carenze nel sistema lavorativo e pensionistico.
Questi lavoratori sono infatti coloro che hanno subito per primi gli effetti delle riforme sul lavoro e sul sistema previdenziale. Poi, hanno convissuto con le conseguenze del Jobs Act, provando sulla propria pelle cosa significasse l’espressione “lavoro precario”.
Ed ecco che, arrivati a una decina d’anni dalla pensione, si inizia a intravedere quali conseguenze avrà su di loro il sistema contributivo su cui si basano le pensioni, conseguenze che saranno particolarmente dure rispetto ad altre generazioni di lavoratori.
Più anni di lavoro e meno contributi
I nati tra il 1965 e il 1980 hanno purtroppo patito un sistema che ha regalato loro una carriera precaria, così come sono precari i contributi da loro accumulati. Il rapporto dell’INPS infatti mostra un montante contributivo che va via via diminuendo, andando ad influire su quello che sarà l’importo della pensione percepita dai lavoratori interessati.
Alla diminuzione dei contributi versati poi, si aggiungono i calcoli sempre più penalizzanti che riguardano i trattamenti pensionistici. Un lavoratore o una lavoratrice nati nel 1980, infatti, dovranno lavorare ben 3 anni in più rispetto a qualcuno nato nel 1964. Ma guadagnerà di più una volta andato in pensione? Purtroppo no, la somma percepita verrà calcolata allo stesso modo.
La situazione poi peggiora se si parla di lavoratrici, quindi di donne. Una donna nata nel 1980 avrà bisogno di lavorare circa 6 anni in più rispetto a un nato nel 1964, per poter percepire la stessa somma una volta andata in pensione.
La speranza del salario minimo
Cosa accadrà davvero alla generazione X per quanto riguarda la pensione, quindi, solo il tempo potrà accertarlo. Se le cose dovessero rimanere uguali, comunque, le previsioni dell’INPS mostrano un duro colpo nelle pensioni dei nati tra il 1965 e il 1980. Questi lavoratori infatti hanno versato meno di 18 anni di contributi prima del 1996, e pertanto possono godere del calcolo misto a fini pensionistici solo fino a dicembre 1995.
L’INPS però ha concluso il rapporto indicando l’introduzione del salario minimo come possibile soluzione di questa intricata situazione. Si parlerebbe quindi di un minimo di 9 euro all’ora, il che facendo qualche calcolo permetterebbe ad un lavoratore con 30 anni di contributi versati di andare in pensione a 65 anni.
Tutto questo per percepire circa 750 euro ogni mese, forse non una cifra stellare, ma al momento comunque superiore all’importo minimo della pensione stabilito dall’INPS, pari a 515,58 euro al mese.