Fino a pochi giorni fa i suoi dipinti erano in mostra alla Lollipop Gallery di Londra per una personale che ha avuto un buon successo di critica e pubblico. Che da quelle parti non è affatto scontato. Lei è Sofia Cacciapaglia, nata 32 anni fa a Ponte Dell’Olio, in provincia di Piacenza, ma milanese da sempre, ormai da qualche anno fra le pittrici più interessanti e apprezzate della sua generazione. Figlia d’arte – suo padre è il compositore Roberto Cacciapaglia – nel 2011 è stata l’artista italiana più giovane a esporre alla Biennale di Venezia.
Come ha iniziato?
«Nasco in una famiglia dove l’arte è di casa, per tutti noi è un mestiere normale, non astratto o distante dalla realtà ma estremamente concreto. Ho studiato prima al liceo artistico e poi all’Accademia di Brera. Non è stato difficile convincere i miei a lasciarmi fare queste scelte, anzi. Con altri genitori di sicuro non sarebbe stato così».
Ha mai pensato di studiare altrove?
«Sì. Come quasi tutti i milanesi anch’io mi lamentavo della città e così per un po’ ho pensato di andare a Roma. Stando lì, però, ho capito subito che non c’era paragone: se vuoi fare arte, studiare a Brera è il massimo. Ti prepara sotto tutti i punti di vista e ti fa anche capire che, al termine degli studi, non ci sarà nessuno ad aspettarti, dipenderà tutto dalla tua voglia di fare. E poi Roma, dove vive mia sorella che fa l’attrice, un po’ distrae. Milano aiuta a trovare la giusta concentrazione».
Quando si presenta e dice che fa la pittrice i concretissimi milanesi come reagiscono?
«Bene. Milano è una città che sorprende sempre. Il mio lavoro piace perché qui piacciono quelli che puntano su se stessi. E in qualche modo tutto qui ti favorisce. Io, per esempio, in questi anni ho lavorato tanto con i professionisti della moda e del Salone del Mobile. Insomma, Milano c’è ed è generosa ».
Qui ha uno studio?
«Sì, in via Vittorio Veneto, prima per quattro anni sono stata in via Mecenate. Ho cambiato perché dipingo spesso di notte, lì ero un po’ troppo isolata e ogni tanto avevo paura per la mia sicurezza. Per un po’ di tempo ho avuto uno spazio mio anche a Londra, dove ho una galleria che mi rappresenta, ma sono legatissima a Milano».
Il brutto di Milano?
«Non saprei. La prima cosa che mi viene in mente è che i milanesi di sicuro sono un po’ chiusi e snob. Detto questo, è anche vero che questa è una città aperta e accogliente come nessun’altra in Italia, forse perché tutti hanno capito in fretta quanto le persone da fuori possono offrire ed essere preziose».
La crisi economica di questi anni come l’ha vissuta?
«Sono stata fortunata. Sono riuscita a salire su un treno veloce, sono entrata in un discreto canale di collezionisti e ho iniziato a intrecciare buone relazioni con tanta gente interessante. Non mi passo lamentare, anche se tutti quelli che c’erano mi dicono che negli anni ’80 ogni cosa era diversa. In meglio».
Nel 2007, invece, come ha fatto a fare la sua prima mostra a New York?
«Dopo aver finito di studiare a Brera sono scappata a New York. Lì ho fatto vedere le foto dei miei quadri a un amico come il fotografo Fabrizio Ferri».
La sua reazione?
«Mi ha detto che sembravano opera di un Matisse contemporaneo…».
Addirittura?
«Sì. La mia è una pittura figurativa che parte da me stessa, molto emotiva e di pancia».
E poi? Con Ferri come è finita?
«Dopo quel commento esagerato mi ha proposto di fermarmi a New York per allestire una mostra negli spazi del suo Industria Superstudio. È andata benissimo, sono rientrata a Milano dopo quasi sei mesi. Non è la stessa cosa, ma la frenesia e la velocità che si respirano qui sono uniche per l’Italia. E io amo il mio Paese».
La nuova Milano dei grattacieli le piace?
«Mah! Avrei creato più spazi verdi, non mi sembrano una grande novità».
La Milano per lei più bella?
«Piazza Mentana, Santa Marta, la Stazione Centrale».
Pro o contro la costruzione della moschea?
«Favorevole. Nel rispetto della storia e dell’’identità di tutti, però».
Prossime mosse?
«Mi piacerebbe fare un’altra mostra a New York, magari avere una galleria che mi rappresenti sia in America che qui in Italia, e poi fare un lavoro importante con la carta da pacchi».
Quella marrone chiaro?
«Sì, la più economica. Mi piacerebbe impacchettare una galleria e realizzare un unico disegno. Insomma, fare qualcosa di speciale».