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VALENTINA CALAMINICI ## Milanese di Arese, 37 anni, consulente di comunicazione

Valentina Calaminici, 37 anni, è una consulente di comunicazione – è una delle colonne portanti di Connexia, agenzia fra le più importanti del settore – che fa parte di quel nutrito gruppo di milanesi che a Milano non sono nati e cresciuti, ma che qui hanno sempre fatto di tutto: studi, sport, lavoro. Figlia di una cremonese e di un catanzarese, Valentina è nata ad Arese e qui ancora oggi vive. Passa tutta la giornata a Milano, spesso anche la serata, per poi tornare a casa dopo 15 minuti d’auto. Facciamo l’intervista nel suo ufficio, dalle parti di corso Vercelli. L’inizio è bizzarro, forse perché sono le 8 del mattino.

«Non rida, ma posso dire che da piccola Milano per me era soprattutto il Burghy?»
Il Burghy dei paninari a San Babila?
«Sì, quello».
Negli anni ’80 non era troppo piccola per cuccadores e soci?
«Sì, certo. Infatti il paninaro di casa era mio fratello, che ha quattro anni più di me. Lui era uno di quelli accaniti così, dopo il pranzo domenicale dalla nonna di Cremona, con i genitori ci fermavamo sempre al Burghy per la cena. Per me era tutto molto strano e divertente».
Altri posti che frequentava da giovanissima?
«Nei periodi di festa si andava alla Rinascente in Duomo, dai 14 ai 18 anni con tutti gli amici della compagnia si prendevano i motorini per prendere sui Navigli le brioche calde di notte, che ad Arese nessuno faceva. Da maggiorenni, invece, appena possibile si stava fissi alle Colonne di San Lorenzo».
Tutto molto diverso da Arese, immagino.
«Il mio è sempre stato un paese molto sviluppato, adesso c’è anche il più grande centro commerciale d’Europa, però Milano era ovviamente un’altra cosa. Insomma, Arese ha 20 mila abitanti…».
Com’è il carattere dei milanesi di città?
«Secondo me i veri milanesi, che ormai sono una rarità, sono un po’ chiusi. Io ne ho sempre frequentati pochi. AlIa mia università, la Iulm, il peggior luogo in assoluto per quanto riguarda fighe e fighi di legno, nessun milanese si fidanzava con una ragazza che non era di Milano. Io non ho mai avuto problemi di questo tipo, me ne sono sempre fregata, anche perché stavo con i miei amici di sempre, però ho conosciuto gente di fuori che, per sentirsi integrata, imitava il peggio dei milanesi snob rendendosi tragicamente ridicola».
Quindi il melting pot alla milanese funziona o no?
«Oggi vedo maggiore integrazione. In giro per la città vedo sempre più spesso famiglie di ogni provenienza e colore perfettamente inserite nella realtà cittadina. Ci sono ancora problemi, è ovvio, ma meno che altrove. È una città che libera, Milano. La gente che qui trova lavoro e dignità finisce sempre per cambiare e migliorare».
Per capire meglio Milano che cosa bisogna mettere a fuoco?

«Che questa è una città in movimento come nessun’altra in Italia. È coraggiosa, è sempre pronta a intercettare le novità, ed è la più internazionale di tutte. I milanesi poi, sanno accogliere in una maniera più unica che rara. Adesso più che mai».
Perché?
«Il design, la moda, la capacità di fare business hanno attirato stranieri da tutto il mondo che hanno contaminato un po’ tutto. Qui gli incontri generano sempre qualcosa di positivo. Non c’è la bellezza di Roma, lo sanno tutti, ma di sicuro a Milano tutto ciò che è bello viene valorizzato al massimo livello. Qui il mix fra idee e persone funziona».
Il quid di Milano qual è?
«Qui si respira aria di libertà. Da donna dico che a Milano si può fare qualsiasi cosa, qui puoi essere davvero quello che vuoi, un po’ come a New York. A Milano puoi uscire di casa come ti pare e nessuno ti dà fastidio. È una città piccola, ma stimolante e piena di sorprese».
Il brutto?
«Il tempo, l’inquinamento e la velocità eccessiva, che ovviamente non favorisce le relazioni umane e che nessuno fuori da qui capisce fino in fondo. “Perché correte?”, me lo sento dire da una vita».
Si lavora ancora bene a Milano?
«Nonostante la crisi e i tanti cambiamenti, direi di sì. Non credo che a Roma si possa dire lo stesso. Certo, il fatto di andare a 300 km all’ora dalla mattina alla sera, tutti giorni, e poi fare di tutto per ritagliarsi il tempo per esercizi di rilassamento, meditazione e yoga non ha molto senso, però…».
Però?
«Questa è Milano. E va bene così».
Come si è milanesizzata?
«Nell’accento, nella resistenza alla fatica, nel modo di lavorare e vestire… Noi milanesi se parliamo di moda siamo le migliori, alla pari solo con le parigine. Siamo curatissime, una di noi si riconosce ovunque. L’attenzione per il bello ce la portiamo in ogni circostanza».
Cambierebbe città?
«Solo a New York potrei andare a vivere. Mi piace stare in Italia, però, quindi è Milano l’unica città dove voglio stare».
Perché non si è mai trasferita?
«Arese è a 15 chilometri da qui, è come se fosse un quartiere, perché avrei dovuto?».
Per sorprendere qualcuno che non è mai stato a Milano dove lo porterebbe?
«All’osteria Alla grande, a Baggio, cucina milanesissima. Alla Scala, a Corso Como, in piazza Gae Aulenti, nelle vie tra piazzale Cadorna e piazza Missori, dove sei in centro ma non c’è traffico e casino. Non sembra, ma a Milano c’è da vedere tanto. E poi un caffè da Taveggia, un aperitivo al Saint Ambroeus…».
Secondo lei, girando per la città, quali potrebbero essere i primi tre perché di una persona che non conosce Milano?
«Vediamo… Perché c’è la Metro 5 e non la 4? Perché corrono tutti? Perché continuano a costruire case che restano vuote? Che cosa c’è sotto?».

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andrea_scarpa