Da Venezia a Milano, dalle suonerie del telefonino ai dischi di jazz, da un lavoro sicuro ai sogni da imprenditore. È questo l’identikit in pillole di Andrea Dolcino, 38 anni nato a Venezia ma residente a Milano dal 2001, che tre anni fa a Chinatown (via Bramante 39) ha aperto Indiehub, un coworking dedicato alla musica con tanto di studio di registrazione specializzato nelle produzioni acustiche.
Quando è venuto a Milano?
«Nel 2001, dopo aver fatto tre anni di Lettere Moderne, che non ho finito, sono venuto qui per seguire i corsi della Sae, la scuola di formazione per tecnici del suono. Dopo aver conseguito il diploma di fonico, ho aperto un piccolo studio in via Washington. È durata tre mesi, però…».
Perché?
«Una multinazionale francese attiva nel settore dell’intrattenimento digitale mi ha offerto un buon contratto di assunzione e ho accettato. La sede era in via Farini, zona Isola. Ho iniziato con le suonerie, poi il mercato si è evoluto e mi sono specializzato nei giochi».
Quali?
«La mia sezione sviluppava contenuti di ogni tipo: lotto, chat, oroscopo, erotico, cartomanzia… Sono rimasto in azienda per quasi undici anni, ho dato le dimissioni poco prima di aprire Indiehub».
Perché?
«Non volevo trovarmi a cinquant’anni a fare ancora contenuti trash. E poi la passione per la musica l’ho sempre avuta, a un certo punto ho capito che dovevo rischiare».
Ha mai suonato?
«Sì, un po’ di musica elettronica con le tastiere, ma niente di speciale. Non era quello il mio mondo, ma quello dall’altra parte: fare il tecnico del suono e l’organizzatore del lavoro. La nascita dei primi coworking mi ha dato la spinta necessaria per buttarmi in questa nuova avventura».
Come?
«Mi è sempre piaciuta l’idea di realizzare uno spazio dove far convivere professionisti dello stesso settore attivi in ambiti diversi. In pratica, sono per la contaminazione dei talenti. Quando ho pensato a un coworking specializzato non c’era niente di simile a Milano. E poi, ovviamente, volevo aprire un studio di registrazione di grande qualità dedicato al jazz e alla musica acustica. Sapevo che in Italia Milano è la capitale del pop e rock, ma per il jazz invece ha poco o nulla da offrire».
Ha speso tanti soldi, immagino.
«Da solo, senza soci, ho avuto dei garanti per avere i finanziamenti iniziali. Lo studio ha costi elevatissimi e ho speso tanto anche per mettere l’area coworking a norma».
Dal 2013 a oggi la città come ha reagito?
«I primi due anni sono stati veramente duri, anche perché essendo alla mia prima esperienza imprenditoriale, ho commesso qualche errore di comunicazione. Comunque solo in una città come Milano potevo realizzare un progetto così. Adesso è diventato tutto più stabile, si vede la luce in fondo al tunnel. Il marchio Indiehub sta uscendo bene, il passaparola è buono. Stiamo convincendo tanti professionisti che il nostro studio offre una qualità straordinaria».
Chi è venuto a registrare qui?
«Tanti grandi del jazz italiano e no: Dado Moroni, Franco Cerri, Tiziana Ghiglioni, l’americano Eric Reed… Negli ultimi mesi anche artisti pop come Edoardo Bennato e Nesli hanno inciso qui i loro dischi. Per loro ho anche spostato divano e poltrone, visto che quelli del pop hanno tempi molto più lunghi dei jazzisti. Questi ultimi in tre giorni fanno un disco intero, gli altri in tre giorni fanno quattro chiacchiere. E allora meglio star comodi…».
Per il coworking quante postazioni ci sono?
«Dodici. Ci sono uffici stampa, un’azienda di organizzazione di eventi musicali, un fotografo, una piccola società di produzione cinematografica, un’altra che si occupa di intrattenimento digitale… Insomma, di tutto. Ognuno fa il suo ma insieme si sviluppano anche altri progetti».
Ci sono più milanesi di nascita o d’azione?
«Sono tutti professionisti che vengono da fuori, ma questa è la forza di Milano: il mix di persone diverse».
Il futuro come lo vede?
«Voglio che questo studi diventi una garanzia di successo pieno, creare del sano e abbondante profitto, espandermi».
Nella zona di via Paolo Sarpi, a Chinatown, come si trova?
«Bene. Qui è tutto tranquillo e sicuro anche grazie all’isola pedonale. Mi piacerebbe anche imparare il cinese, potrebbe sempre servire».
Vive in zona?
«Vicino a piazza Argentina, dalle parti di piazzale Loreto».
Le sue zone preferite?
«Tutta l’area che va da Paolo Sarpi a Porta Venezia fino a Porta Romana. I Navigli non mi piacciono. Troppi locali, troppo casino, troppa brutta musica».