Una città sempre sul pezzo come Milano poteva non avere un’ampia scelta di locali vegani e vegetariani? Non poteva, ovvio. Infatti, in giro c’è di tutto. Uno che due-tre cosette di questo mondo le conosce abbastanza bene è Giordano Salvatori, milanese di Milano, 37 anni, proprietario dal 2012 di NaBi, un locale vegano-vegetariano in via Cadore. Per parlare un po’ di cibo, Milano e milanesi ci vediamo per un caffè dalle parti di via Paolo Sarpi, a Chinatown.
Qual è il suo percorso?
«È semplice. Mia mamma, che è una psicologa, per cercare di farmi crescere sano e forte ha sempre cercato di alimentarmi in maniera corretta, quindi con tante centrifughe di frutta e poco cibo spazzatura. Per capirci, la Coca-Cola l’ho scoperta a 6 anni, i panini di Burghy a 9…».
Ha funzionato?
«Finora non ho mai avuto problemi di salute».
Bene. Adesso che è cresciuto cosa mangia?
«Mi nutro solo con tutto ciò che posso coltivare o uccidere. Sono quasi vegano».
Quasi?
«Da due anni non mangio carne, ogni tanto però mi concedo un po’ di formaggio. La mia è una scelta che parte dalla salute e arriva all’etica. Sono contrario a qualsiasi forma di violenza e non credo che l’uomo sia onnivoro. Per vivere meglio e più a lungo dobbiamo nutrirci in maniera diversa. Beviamo troppo latte di mucca, per esempio».
Che studi ha fatto?
«Diciamo che, studiando poco, fino al liceo me la sono sempre cavata con un calcio in culo e via. All’università, però, mi sono perso: mi sono iscritto a ingegneria, geologia, scienze politiche. In quest’ultimo caso mi mancavano pochissimi esami, ma poi ho mollato».
Il pallino dell’imprenditoria ce l’ha sempre avuto?
«No. Però all’università ho fatto un corso da barman, mi sono appassionato al mondo della ristorazione, e non mi sono più fermato. Ormai sono in questo ambiente da quindici anni».
NaBi, che sta per Natura Biologica, quando l’ha aperto?
«Nel 2012. Prima, dal 2002 al 2006, ho lavorato nei bar di alcuni grandi alberghi e come cameriere-barista per una società di catering. Dopo, dal 2006 al 2011, mi sono messo in proprio con due amici facendo ristorazione per fiere. All’inizio tutto bene, facevamo una media di seicentomila euro l’anno, poi è arrivata la crisi che nel 2008 ci ha messo in ginocchio. Avevamo troppe spese fisse, anche perché avevamo comprato un furgone e alcune celle frigorifere: abbiamo venduto tutto. Con i soldi incassati e con quel che restava della fiducia delle banche, ho aperto NaBi. Ho impiegato un anno per trovare lo spazio giusto».
E come va?
«Piano piano il fatturato sta crescendo. L’hamburgeria vegana e vegetariana sta funzionando».
Che ci mette dentro questi hamburger?
«Il pezzo forte è quello a base di melanzana tritata, 800 grammi di bontà che quando l’hai finito – con le salse e le spezie – non capisci più niente. Un’altra cosa rispetto alla solita insalatina sfigata. Le serviamo con le patatine, che cuociamo solo al forno perché fritte fanno male».
Chi sono i suoi clienti?
«Vegetariani, curiosi, gente che vuole mangiare in maniera sana e diversa dal solito. E vegani, ovviamente, che spesso vengono con qualcuno da convertire. Per loro è una missione».
L’identikit?
«Professionista o dipendente, cultura medio-alta, 30-45 anni. Più donne che uomini. Spesso di sera ci sono tavolate di sole donne, mai di uomini».
Quanta gente serve in un giorno?
«Siamo aperti dalle 7.30 alle 23.30, direi più o meno 300 persone al giorno, compresi gli onnivori».
Anche loro?
«Certo. Da me c’è posto per tutti. Seleziono le migliori carni possibili. Io non la mangio, ma se c’è chi la vuole, gliela faccio trovare. Sono affari loro».
Senta, è solo un’altra moda o c’è di più?
«Non saprei dire. A me sembra che sia in atto un grande cambiamento culturale e credo che l’attenzione verso un’alimentazione sana ed equilibrata si radicherà sempre di più. Milano anche stavolta è avanti a tutti. L’inquinamento, i campi elettromagnetici, il riscaldamento globale danneggiano sicuramente il nostro corpo, ma niente incide sulla nostra salute come il cibo. E sempre più gente qui vuole stare attenta a quello che mangia».
Fanatici ce ne sono tanti?
«Abbastanza, anche se sono in calo, forse perché vegani e vegetariani aumentano sempre di più. Alcuni di loro, integralisti duri e puri, si lamentano e si incazzano con me perché cuciniamo anche la carne. “State con i mangiacadaveri», mi dicono».
E lei?
«Lascio correre. Quelli che vengono da me e chiedono carne comunque vogliono mangiare in maniera sana, piano piano capiranno anche loro che bisogna abbandonare certe cattive abitudini».
I suoi amici sono vegani?
«Tranne uno sono tutti onnivori. La strada è lunga…».
Gli affari come vanno?
«Sono abbastanza contento, vanno bene. Sto anche pensando a un rafforzamento dei vari menù vegetariani e vegani da consegnare a domicilio. La cosa che nn va, quelle che deprime, è lavorare tanto, incassare, e alla fine guadagnare pochissimo. Ci sono troppe spese: stipendi con tredicesime, ferie, tasse… In tasca resta veramente poco. Il minimo per campare».
Quanta gente lavora con lei?
«Dieci-dodici, a seconda delle stagioni».
C’è tanta concorrenza?
«Sì, siamo a Milano. Qui c’è di tutto. Di buono c’è che non ho aperto una pizzeria, quindi non siamo tantissimi, nessun problema. Oddio, si fa per dire…».
Quali sono le rogne per il proprietario di un locale come il suo?
«A parte le questioni economiche, la stanchezza. La mancanza di tempo per vivere. Non riuscire ad avere una relazione stabile…».
Il futuro come lo vede?
«Fino a 40 anni vado avanti a testa bassa, poi farò i miei conti per capire se sto andando nella giusta direzione. Qui va a finire che si corre come matti e non si arriva da nessuna parte. Mi piacerebbe diventare papà, avere una mia famiglia».