I risultati dell’indagine Greenpeace sull’acqua potabile della Lombardia

I risultati dell’indagine condotta da Greenpeace parlano chiaro: l’acqua potabile in Lombardia risulta in diversi casi altamente inquinata.

Campione di acqua potabile
Campione di acqua potabile-iMilanesi.Nanopress.it

La qualità dell’acqua della Lombardia, in particolare per il consumo umano, non è ideale secondo un rapporto dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia.

Il rapporto ha rilevato una quantità preoccupante di PFAS (composti poli e perfluoroalchilici), sostanze chimiche artificiali altamente persistenti e legate a vari problemi di salute, inclusi alcuni tipi di cancro. Queste sostanze chimiche sono state trovate in alte concentrazioni in alcune province.

Tra il 2018 e il 2022 le autorità competenti hanno analizzato circa 4.000 campioni. Di quel totale, circa il 19% è risultato positivo alla presenza di PFAS, pari a 738 campioni.

Tuttavia, esiste un rischio significativo che questo inquinamento venga ampiamente sottovalutato. La natura parziale e non sistematica delle analisi finora condotte fa sì che i livelli effettivi di contaminazione possano essere di gran lunga superiori.

Acqua potabile inquinata consumata inconsapevolmente

Dal 2018 migliaia di cittadini lombardi consumano inconsapevolmente acqua contenente PFAS, utilizzata anche per cucinare, irrigare e fare giardinaggio.

È anche possibile che queste contaminazioni siano ancora in corso e non siano state ancora del tutto identificate.

Logo Greenpeace
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Secondo il responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, Giuseppe Ungherese, l’indagine in Lombardia ha messo in luce una grave crisi ecologica e sanitaria che le autorità locali e nazionali non riescono ad affrontare.

La contaminazione da PFAS, che colpisce migliaia di individui che spesso non sono consapevoli dei rischi che corrono, viene gravemente sottovalutata.

Ungherese chiede ai ministeri competenti, al Parlamento e al governo di agire immediatamente approvando una legislazione che vieti la produzione e l’uso di tutti i PFAS. Inoltre, devono essere attuate misure correttive efficaci e individuati i responsabili dell’inquinamento.

I risultati dell’indagine Greenpeace provincia per provincia

Esaminando i dati relativi a ciascuna provincia, si evince che la percentuale più alta di campioni contaminati si trova nel lodigiano, con l’84,8% dei campioni risultati positivi al PFAS.

Dopo Lodi, anche le province di Bergamo e Como mostrano alti livelli di contaminazione, con rispettivamente il 60,6% e il 41,2% dei campioni risultati positivi.

L’area milanese si trova al centro dello spettro, con un quinto dei campioni contenenti PFAS. Tuttavia, in termini di numeri totali, la provincia di Milano ha il triste primato di avere il maggior numero di campioni PFAS positivi (per un totale di 201), seguita da Brescia (149) e Bergamo (129).

Inoltre, vi sono aree specifiche che presentano criticità, come Crema (Cremona), Crespiatica (Lodi), Pontirolo Nuovo (Bergamo), Rescaldina (Milano), Cantù-Mariano Comense (Como).

I risultati di Milano non sono ottimistici: meno di un terzo di tutti i campioni prelevati dalla città erano privi di contaminazione.

In totale, sono stati raccolti 367 campioni e il 31,1% conteneva PFAS. I livelli di inquinamento più elevati sono stati osservati in specifiche aree della città, tra cui Crescenzago, Cantore, Anfossi, Assiano, Lambro e Padova.

I casi di inquinamento riscontrati in Lombardia sono quasi ovunque molto inferiori rispetto a quelli riscontrati in Veneto nel 2013, quando si è verificata un’emergenza locale di PFAS.

Tuttavia, è importante tenere presente che secondo le ultime ricerche scientifiche, i PFAS sono considerati sostanze potenzialmente pericolose per la salute umana a qualsiasi concentrazione.

Pertanto, l’unico valore precauzionale accettabile è l’assenza totale di tali sostanze nell’acqua potabile, negli alimenti, nel suolo e nell’aria.

Dall’analisi dei campioni inviati a Greenpeace Italia emerge che una parte dell’acqua potabile in Lombardia sarebbe considerata non idonea al consumo umano secondo i nuovi standard proposti negli Stati Uniti (il 13,1%) o quelli in vigore in Danimarca (il 13,4%).

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