Sono stati negati i domiciliari a Vallanzasca, che resterà quindi in carcere. Quindi, niente cure in una struttura ospedaliera.
Renato Vallanzasca, un uomo di 73 anni che è stato una figura di spicco della malavita milanese degli anni ’70 e ’80, è in carcere da oltre 50 anni.
A causa di problemi di salute, i difensori di Vallanzasca hanno chiesto che gli fosse consentito di scontare il resto della pena in una struttura adeguata al di fuori delle mura del carcere.
Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha respinto tale richiesta e ha disposto la permanenza in carcere di Vallanzasca.
Vallanzasca resta in carcere
Corrado Limentani e Paolo Muzzi, avvocati di Vallanzasca, hanno presentato una consulenza firmata da un medico legale e tre neurologi, tra cui il professor Stefano Zago, per dimostrare che Vallanzasca è affetto da deficit cognitivo da almeno quattro anni e che la sua detenzione in prigione sta peggiorando le sue condizioni.
Il presidente D’Elia, insieme a Rossi e a due esperti, ha preso atto del declino cognitivo e del lento e progressivo peggioramento della condizione clinica, per quanto si sa.
Tuttavia, hanno anche chiarito che sono disponibili trattamenti conservativi e farmacologici per il 73enne, che può quindi ricevere cure mediche mentre è in carcere.
La difesa, invece, ha sostenuto che le condizioni a Vallanzasca sono “incompatibili con il carcere”, dove non possono essere praticate terapie di supporto cognitivo.
I giudici hanno respinto il rinvio “cosiddetto umanitario” della pena e la richiesta di perizia del medico legale.
“Ricorreremo in Cassazione”, afferma uno degli avvocati
I legali hanno chiarito che il provvedimento in esame non rivela alcuna informazione in merito alla presunta pericolosità, ma evidenzia piuttosto il fatto che il Tribunale di Sorveglianza, in diverso collegio, ha recentemente ripristinato i permessi premio per il singolo in comunità.
La decisione di negare non solo la detenzione domiciliare ma anche la perizia, secondo l’avvocato Limentani, è del tutto ingiustificata e disumana.
“Questa decisione impedisce all’individuo che ha già scontato 50 anni di carcere, che non rappresenta una minaccia per la società ed è evidentemente malato, di ricevere le cure necessarie per alleviare o rallentare il suo deterioramento”, ha dichiarato l’avvocato. “Alla luce di ciò, proporremo il ricorso in Cassazione”.