Silvia Lora Ronco è una di quelle milanesi che se non ci fossero bisognerebbe inventarle: ha solo 45 anni ma ha vissuto tutto al quadrato, intensamente e senza risparmiarsi. A 20 anni ha importato per prima in Italia le stufe da esterni, che poi ha ribattezzato «Fungo», un clamoroso successo commerciale che ha cambiato la fisionomia delle città italiane. Adesso sono praticamente ovunque. Dopo qualche anno Silvia ha venduto tutto, si è messa a studiare, e si è trasformata in arredatrice floreale modellando su di sé il personaggio di Silviadeifiori (www.silviadeifiori.com), che le ha permesso in poco tempo di condurre programmi in Tv, scrivere libri, tenere corsi. Silvia ha anche due figli di 9 e 19 anni. Ci vediamo in un bar di piazza Argentina, a pochi metri da piazzale Loreto. Sorridente e precisa, si racconta in maniera veloce e divertente.
Come imprenditrice quando ha iniziato?
«A 20 anni, per caso. Dopo un percorso scolastico faticoso…».
Che intende dire?
«All’epoca sui libri non mi piaceva stare più di tanto, mentre oggi non farei altro che studiare. Comunque avevo deciso di fare la maestra così, dopo aver conseguito il diploma all’Istituto Magistrale, iniziai a lavorare in un’agenzia che organizzava eventi».
E l’idea di fare la maestra?
«Dopo due giorni di supplenza capii che quella vita non faceva per me. Dopo poco, però, feci un viaggio in America e per caso scoprii queste stufe da esterni. Mi colpirono subito, anche perché in Italia non si era mai visto niente di simile. Io e l’amica che era con me, poi diventata mia socia, ne comprammo due. Rientrate a Milano le vendemmo in tre ore. Mi licenziai il giorno dopo».
E poi?
«Io e Micaela, la socia, aprimmo una srl. Era il 1992, e tutto andò benissimo. Le stufe “spaccavano” e si vendevano come il pane. Dopo un anno, però, nonostante l’euforia e i buoni risultati, riuscii a essere onesta con me stessa: non stavo capendo le cose fino in fondo e siccome gli affari sono una cosa seria, dovevo saperne di più. E così mi iscrissi a un corso di Direzione d’azienda alla Bocconi, una specie di Economia e commercio condensata. Avevo 22 anni. Fu la svolta».
Cioè?
«Durante una lezione di marketing capii finalmente che se tutti chiamavano le nostre stufe “funghi” non era un male, come invece pensavo io. Il professore mi spiegò la regola numero uno del marketing: ascoltare la gente. Quindi pensai: se lo chiamano fungo, lo chiamerò fungo. Alla fine della lezione, andai di corsa a a registrare il marchio. Nel frattempo dopo un anno e mezzo la concorrenza si era organizzata, e quella fu un’intuizione felice».
Quanto guadagnava?
«Ogni fungo costava 1 milione e mezzo di lire e ne vendevamo più di mille l’anno».
A quanta gente dava lavoro?
«Avevamo trenta rappresentanti e come dipendenti fissi un magazziniere, una segretaria, un contabile e mia sorella, che è entrata in società. Lavoravamo come pazze, dalle 8 alle 21. È stato un periodo incredibile, molto gratificante».
I «funghi» dove li prendevate?
«Prima in America, poi in Inghilterra. Dopo un po’ decidemmo di produrli in Italia fino a quando nel 1999 pensammo di far costruire il bruciatore a Taiwan e il resto da noi. Prima di farlo, però, George Clooney cambiò la mia vita».
Clooney l’attore americano?
«Sì. Dovevamo assicurare i bruciatori in arrivo da Taiwan, ma costava tantissimo e avevo paura che succedesse qualcosa».
Questo che c’entra con Clooney?
«La sera prima di firmare il contratto andai al cinema a vedere il film La tempesta perfetta, di cui Clooney era il protagonista. A un certo punto c’è una scena con un portacontainer che affonda con tutto il carico. Pallida come se fossi stata a bordo, uscendo dalla sala presi una decisione importantissima: accettare le offerte della concorrenza che mi arrivavano da tempo per vendere l’azienda. Ero stanchissima, correvo giorno e notte da anni, e volevo seguire la mia vera passione».
Qual è?
«I fiori. Li amo da sempre e durante l’attività dei “funghi” avevo seguito corsi di vario tipo, anche di design floreale. Forte dell’esperienza nel business, mi sono lanciata e ho puntato tutto sulla mia creatività applicata ai fiori. È nata così Silviadeifiori, la mia nuova identità».
Primi risultati?
«È andata bene. Ho centrato gli obiettivi in tempi rapidi: adesso faccio corsi di design floreale per principianti e professionisti in tutta Italia, curo gli addobbi per cerimonie e convention di ogni tipo, scrivo libri, curo un sito web molto seguito, ho realizzato per anni tutorial sui fiori su Sky (quattro edizioni di Fiori Colori e Decori e due di Wedding House, ndr) etc. Insomma, Milano premia chi fa, chi si impegna per concretizzare i proprio sogni. Non siamo tutti uguali, per carità, ma qui lavorando si riesce a ottenere tanto. Ci vuole talento, visione e impegno, però. Io senza Milano di sicuro non sarei qui».
Le è mai capito di pensare: chi me l’ha fatto fare di mollare la vecchia attività?
«Mai. Economicamente è come prima, tutto il resto è molto meglio: sono cambiata, mi sono evoluta e sono più consapevole».
I corsi dove li tiene?
«A Milano negli spazi del mio sponsor floreale. In giro per l’Italia di solito in alberghi, serre e ville».
Le città che le danno più soddisfazione?
«Milano, Roma, Napoli. Oltre ai corsi spesso vado a promuovere prodotti, faccio consulenze d’immagine, organizzo e allestisco matrimoni. Diciamo che non mi annoio. Con me lavorano Denise, la grafica, e Wanda, che mi aiuta con i fiori da ormai dodici anni. E con loro tanti collaboratori preziosissimi».
Perché non ha un negozio?
«Mi piacerebbe ma non ho il tempo fisico di gestirlo come vorrei, e non mi va di aprire in franchising. Mi piacerebbe un concept store, un posto dove oltre a vendere fiori potrei ospitare mostre d’arte e corsi. Ho tutto pronto, anche la grafica e l’arredamento. Non lo sto cercando, ma se incontro qualcuno che vuole condividere il progetto, lo faccio».
Come sono i suoi clienti milanesi?
«Sempre più raffinati e attenti alla natura. Il milanese ha gusto, non si accontenta facilmente. I fiori fanno sempre più parte della vita della gente, e si comprano molto più spesso di una volta. Testimoniano un modo più equilibrato di intendere la vita e possono cambiare davvero le persone. Con me è successo».
Potendo che cosa cambierebbe a Milano?
«Io vorrei occuparmi di arredo urbano. Sono convinta che bisognerebbe realizzare un piano regolatore per il verde verticale da estendere a tutta la città. Io fisserei una percentuale di fiori e piante per ogni palazzo. Non è una fantasia impossibile, è una proposta seria e fattibile. Se non c’è spazio per i boschi, potremmo risolvere così il problema del verde. Il Bosco Verticale, in questo senso, è una grande lezione. Io amo Milano, e voglio vederla migliorare in concreto non a chiacchiere. L’arredo urbano, per esempio, quello di bar e di chi ha un’attività all’esterno, potrebbe migliorare con poco. Basterebbe dare linee precise per sedie, tavolini e insegne, magari agevolando l’acquisto. Avere più bellezza in cità aiuterebbe tutti quanti a vivere meglio».
Per chi voterà?
«Non lo so. Non ho ancora preferenze».
Se il nuovo sindaco o un assessore in futuro dovessero chiamarla ?
«Andrei subito. Non mi interessa il colore politico, basta che le cose si facciano».
Dove è cresciuta?
«A Pagano, dove un po’ di verde c’era. Adesso ho preso una casa-ufficio di fronte al Parco Sempione. Solo dopo averla comprata ho scoperto che era un deposito di sementi…».
Che cos’ha Milano che le altre città non hanno?
«È una città sveglia e pronta, che risponde sempre. Dopo il vandalismo dei black bloc i milanesi, in silenzio, si sono subito attivati per ripulirla. Ecco, la vera Milano è questa».
Forse è cambiata troppo?
«Sì, ma va bene così. Sarebbe anacronistico rimpiangere il passato. Milano è la città dei cambiamenti e deve guardare avanti, mai indietro».
Mai pensato di vivere altrove?
«Amo Roma, Napoli e la Sicilia, ma Milàn l’è un gran Milàn: dove potrei vivere se non qui?».
I luoghi di Milano a cui è più legata?
«Il Parco Sempione per il verde, il Castello Sforzesco per la Pietà Rondanini, il Museo del ‘900, la zona di Brera con l’Accademia… i nuovi grattacieli».
I difetti da correggere nei milanesi?
«La freddezza iniziale e il fatto che spesso sono arrabbiati per partito preso. E perdono la bussola, si dimenticano di sorridere».
La sfida da cogliere prima di compiere 50 anni?
«Aprire una scuola. Sarebbe bellissimo».
Con i figli come fa?
«Faccio incastri assurdi tutti i giorni, sono una mamma imperfetta, ma in un modo o nell’altro ce la faccio».
Se avesse la bacchetta magica come la utilizzerebbe?
«Eliminerei la burocrazia e darei incentivi per far crescere l’imprenditoria giovanile e la cultura. Che è ossigeno per la testa. Come i fiori».