Laureata in Filosofia, milanese doc, 29 anni, Sofia Villa ha capito in fretta che il lavoro avrebbe dovuto inventarselo. Appassionata di cucina, prima è andata a Parigi per studiare in una scuola di pasticceria, poi – tornata a Milano – ha iniziato a fare torte e biscotti con discreta fortuna. Dopo un po’ – assieme a quattro amiche – si è data a una gastronomia molto particolare e innovativa, tutta a base di… insetti. “Sono buoni e fanno bene”, dice lei ,”il cibo del futuro”. Ne parliamo davanti a un caffè in zona Ripamonti. Le brioches non le ha fatte lei.
Dalla filosofia agli insetti da mangiare è un bel salto…
«Sì, ma un legame c’è. In fondo ci vuole filosofia per affrontare le naturali resistenze, i tabù, il nuovo. Sei anni fa, per non stare troppo sui libri, e visto che cucinare mi è sempre piaciuto – prima ancora che diventasse una moda così inflazionata e a volte un po’ insopportabile – sono andata a Parigi per frequentare un corso di pasticceria nella famosa accademia di cucina Cordon Bleu. Tornata a casa ho organizzato un catering di dolci e biscotti e sono andata avanti così fino alla laurea. Ho discusso una tesi sul vino, il gusto e il piacere».
Gli “animaletti” quando sono arrivati nella sua cucina?
«Un anno fa. Dopo mille lavori – allestimenti di eventi, catering per le feste, rubriche di cucina per i siti di Gambero Rosso, Vogue e San Pellegrino – con quattro complici ho creato Taboolata, una piattaforma creativa in cui arte, design, scienza e cucina si incontrano per esplorare tabù alimentari. Ecco perché abbiamo messo insieme le parole tabù e tavolata».
In pratica che fate?
«Di tutto un po’ intorno all’idea di una cucina a base di insetti e altre cose un po’ così».
Tipo?
«Ogm. Prossimamente abbiamo in agenda alcune cene a tema con una scienziata che spiegherà tutti gli aspetti della questione».
Facciamo un passo indietro. Chi sono i suoi “complici”?
«La biologa Giulia Maffei, l’antropologa Giulia Tacchini, l’economista Chiara Castellucci, la designer Flaminia Veronesi. Siamo partite dal fatto che le prime due si erano già occupate proprio di entomofagia quindi, tramite un’amica in comune, ci siamo incontrate, abbiamo cominciato a ragionare sulle cose che potevamo fare insieme, ed è scoccata la scintilla: insetti. Una libidine assoluta. Organizziamo cene di ogni tipo, dibattiti, lavori di design legati al tema in questione. Di tutto. L’idea di base è non fare cose banali, ma cercare di lavorare su nuove idee.».
Chi fa cosa?
«Io mi occupo delle pietanze, l’economista fa i conti prima e dopo per non andare sotto con i soldi, la designer si occupa dell’allestimento e della comunicazione, le altre due studiano che cosa cucinare. Abbiamo presentato Taboolata durante l’ultima edizione del Salone del mobile, visto che avevamo realizzato una linea di piatti in ceramica con sopra disegni di insetti, una prima provocazione per iniziare a parlare dell’argomento. Nello stesso spazio ci siamo inventate un banchetto tipo salumiere fiorentino con sculture simili a prosciutti, ma che in realtà erano cosce di grillo. E poi barattoli con locuste immerse nel cioccolato e biscotti alla farina di grillo che abbiamo offerto a tutti. Sopra avevamo scritto “Non commestibile. Per ora…”».
Perché?
«Al momento in Italia è illegale vendere alimenti a base di insetti perché non c’è una normativa che li regola. Si possono solo distribuire avvertendo sempre che lo si fa a proprio rischio e pericolo. È ovviamente tutto sanissimo, e iper testato, ma qualcuno potrebbe risultare allergico».
Con queste premesse alle cene che organizzate viene qualcuno?
«Tantissima gente, sul nostro sito ci contatta chiunque. Superato lo stupore iniziale, sono tutti incuriositi. Facciamo cene in case private con alcuni chef, per ora senza fini di lucro, chiedendo solo un rimborso spese. Facciamo sapere a tutti i nostri contatti che ci sarà una cena per una ventina di persone e chi vuole si prenota. Di solito riceviamo il doppio, anche il triplo delle richieste. Prossimamente ci sposteremo a Roma».
Dove le fate?
«Ovunque. La sede cambia ogni volta. Ma non si può dire…».
Potreste avere dei problemi?
«Siamo in regola, ma essendoci un vuoto legislativo bisogna stare attenti alle interpretazioni. Vorremmo che fosse tutto regolare come in Inghilterra, Germania, Olanda e Belgio. In questi Paesi si alleva, si vende e ci sono anche ristoranti. In America si produce addirittura la farina di grillo a livello industriale».
Chi partecipa ai vostri incontri?
«C’è di tutto: dal creativo all’impiegato. Giovani e meno giovani. Tutte noi all’inizio facciamo dei brevi interventi per spiegare meglio questa avventura. A livello nutritivo, per esempio, siamo ai massimi livelli: gli insetti sono ricchi di proteine, calcio e potassio. Nel caso dei grilli l’unico difetto è che hanno lo stesso valore allergenico dei gamberi».
I milanesi partecipano?
«Da noi arrivano dal centro e dal nord, ma la maggioranza ovviamente è di Milano. Che, come sempre, è una città aperta a qualsiasi novità».
I suoi genitori hanno provato?
«Neanche sotto tortura. Gli amici, piano piano, hanno provato tutti. E sono rimasti quasi tutti contenti».
Quanto chiedete?
«Settanta euro».
Un po’ più di un rimborso spese…
«Alla fine, però, solo di quello si tratta. Per una cena completa, così particolare, con il coinvolgimento di così tante persone, non è tanto».
Il menù?
«Sono tutte ricette nostre, non ispirate alla grande tradizione africana, asiatica o sudamericana, ma europea. Meglio così, per ora. Si inizia con un Margarita con farina di grillo sul bordo del bicchiere in aggiunta al classico sale. La farina viene da un allevamento olandese che produce per uso umano. Tutto regolare e testato».
La farina di grillo vi arriva così o trattate gli animali vivi?
«Ci arrivano vivi».
E dove li tenete?
«Dentro scatole speciali in un magazzino. Per ingrassarli e depurarli li teniamo a dieta, a base di zucca, per una settimana. Poi li essicchiamo».
Dopo il cocktail?
«Una crema di piselli con crema di camule, cioè larve della farina. Poi grissini torinesi con lardo, scorza d’arancio e pezzettini di vermetti caramellati. A seguire piselli e larve con besciamella, gnocchi alla barbabietola con cocciniglia e camula limonata, pasta aglio, olio peperoncino e bottarga di grillo, pezzi di grillo fritti tipo bacon, palle di pelle di pollo con salsiccia, lavanda e camule croccanti, grilli e locuste…».
Viste le dimensioni, si vede ciò che si mangia o camuffate?
«In alcuni casi si vedono la bestie, in altri no».
Lei ne ha provati tanti di insetti?
«Sì».
Mal di stomaco?
«Qualche volta, cercando l’accostamento giusto, può capitare. È normale».
In un’altra città italiana un’iniziativa come Taboolata sarebbe mai nata?
«Forse sì, ma con meno fortuna. Detto questo, io sono cresciuta qui, milanese figlia di milanesi, e so che esistono due città: una ferma e una sempre in movimento, attenta alle novità e pronta per il futuro. Dovrebbero incontrarsi di più. Perché spesso c’è chi va via odiandola un po’ questa città».
Perché?
«Milano tende a far annusare tante cose, ma poi non te le fa assaggiare fino in fondo. Quindi è come se spingesse ad andar via chi vuole di più. Io per tre anni l’ho fatto ed è stata un’esperienza preziosa. Senza forse avrei cercato di andare via per sempre, mentre viaggiando un po’ ho capito che l’Italia tutta, da nord a sud, è una gran figata. Solo così ho capito quanto siamo fortunati. Tutti. Dei milanesi non di Milano, per esempio, invidio la grinta, la determinazione, la curiosità. I milanesi “milanesi” sono meno affamati».
A proposito, il suo piatto preferito qual è?
«Spaghetti con aglio, olio, peperoncino e bottarga di grillo, cioè grilli essiccati e grattati. Molto saporito».
Intendevo fra quelli vecchio stile.
«Spaghetti al pomodoro, parmigiano e basilico. Imbattibile».