ILARIA BOCCARDI ## Milanese di Taranto, 34 anni, addetto stampa

Ilaria Boccardi è venuta a Milano per caso, otto anni fa, e fin dal primo giorno si è sentita a casa. Voleva cambiare un po’ se stessa, salutare per sempre alcune persone, vivere in un’altra città. Ovviamente cercava anche un impiego, che qui è riuscita a trovare proprio come è riuscita a fare tutto il resto. È probabile che dalla «fredda e spigolosa» Milano, Ilaria non se ne andrà più. Nata e cresciuta a Taranto, classe 1981, laureata in Scienze della Comunicazione alla Sapienza di Roma, lavora come addetto stampa a Parole&Dintorni, una della agenzie di pubbliche relazioni più importanti e apprezzate nel mondo dello spettacolo italiano. Ilaria è appena rientrata da Sanremo, dove ha gestito la comunicazione per conto di Enrico Ruggeri, quarto classificato con Il primo amore non si scorda mai.

E stato amore a prima vista?
«Sì. Mi sono innamorata subito di questa città. Parlo per me, ma anche per tante altre persone che ho conosciuto in questi anni e la pensano esattamente come me. C’è molta riconoscenza nei confronti di Milano. nessuno più la demonizza come in passato facevano quasi tutti quelli che venivano da fuori. Chi continua a farlo non la conosce per quello che è davvero e ripete solo vecchi luoghi comuni. Milano, al contrario di tante altre città che non cambiano mai, è molto diversa da un tempo. È una calamita di positività, grinta ed energie».
Quando è arrivata?
«Nel 2008. All’improvviso, poco dopo la laurea. Ero a Roma, e ho deciso di venire dopo una lunga notte di ripensamenti. Non ne potevo più, volevo cambiare aria, fare punto e a capo. Avevo avuto anche un brutto incidente d’auto…».
Che cosa era successo?
«Io e il mio ex stavamo discutendo quando lui, accelerando all’improvviso – come spesso fanno gli uomini per dimostrare chissà cosa – è andato frontalmente addosso a un’altra auto. Mi sono rotta tutte e due le braccia. Poi, dopo mesi a casa, durante un secondo intervento un medico mi ha tranciato il nervo ulnare. Un disastro. Mi sembrava di impazzire. Durante la lunga convalescenza ho maturato la repulsione per Roma e la voglia di cambiare completamente vita. Ho mandato un centinaio di curriculum: l’unica azienda che mi ha risposto, per fare un semplice stage di sei mesi, è quella per cui ancora oggi lavoro. Così in una settimana ho lasciato la casa a Roma, ho mollato il fidanzato, ho dato la notizia ai miei a Taranto, e sono venuta a Milano, zona piazza Argentina. Una specie di fuga rocambolesca che mi ha salvata. Sono felice di aver preso quella decisione».
La prima impressione?
«Meravigliosa. Milano mi ha regalato subito la consapevolezza che qui avrei potuto trovare me stessa senza pressioni né condizionamenti. Vivere nell’anonimato, non avere nessuno a casa ad aspettarmi, nemmeno quegli amici che puntualmente mi ricordavano gli errori fatti, è stato inebriante. Ho capito al volo che avrei dovuto avere pazienza, che integrarsi sarebbe stato un lavoro impegnativo ma fruttuoso, bello, che mi avrebbe fatto crescere. E piano piano sono arrivate le prime amicizie, le prime sorprese…».
Cioè?
«Dopo qualche mese a Milano ho saputo che ci sarebbe stato un concerto dei Baustelle, ma non trovavo nessuno che volesse accompagnarmi. Ci sono andata da sola. In metro un ragazzo mi ha chiesto quale fosse la fermata per andare a vedere lo show, abbiamo fatto il viaggio insieme e visto il concerto con i suoi amici. Una serata bellissima».
E poi?
«Dopo pochi giorni mi ha regalato un libro con un titolo che rimandava al nostro incontro in metro. Ci siamo visti per un po’, siamo diventati amici. Ecco, Milano mi ha lasciato subito libera di essere quello che volevo, libertà che ovviamente va gestita e vissuta al meglio anche perché questa città non conosce mezze misure: può essere esaltante o deprimente, dipende dalla natura di ognuno di noi. Bisogna prenderla un po’ di petto e non farsi intimorire, altrimenti può anche travolgere. È tanta roba, Milano».
L’aspetto peggiore?
«La difficoltà incontrate, ma ampiamente previste, per riuscire a creare il giro giusto di amicizie. È durato sei mesi questo periodo, poi ho finalmente conosciuto persone importanti, vere, le migliori della mia vita».
Quello più interessante?
«La frenesia che impedisce di cedere alla pigrizia e spinge sempre fuori casa a scoprire di tutto. Roma è completamente diversa, nel mio caso anche per via del rapporto di coppia un po’ soffocante che vivevo. Insomma, Milano per me è una specie di supereroe che ha fatto in modo che non precipitassi nella catastrofe. La amo e voglio dirlo a gran voce. Viene troppo spesso maltrattata, questa città».
Perché?
«Per un’eredità storica da cui bisogna emanciparsi. Basta con le solite chiacchiere sulla freddezza e la spigolosità alimentate da persone che non conoscono Milano, non la vivono, e soprattutto parlano per sentito dire. In passato, per i meridionali come me di sicuro non è stato facile integrarsi, oggi però è un altro mondo, migliore proprio perché i milanesi di nascita si sono mischiati con quelli di adozione».
Giù che idea hanno di Milano?
«L’amico ignorante sempre la stessa, stupida e banale, che io restituisco subito al mittente. Per quanto riguarda il lavoro, quasi tutti pensano al mondo dello spettacolo come a una specie di circo meraviglioso senza sapere che è un lavoro come un altro, di cui fra l’altro cerco di non parlare mai. Cambio subito argomento. Non mi piace dare troppa importanza a queste cose. Il lavoro è una cosa seria, ma non deve prendersi tutto. C’è anche la vita e ci sono le persone».
Difficile star dietro a tutto e tutti?
«Non è facile, ma sono diventata bravissima. Me lo dico da sola, ormai. Ho tanti amici fuori dall’ambiente di lavoro, e insieme ce ne andiamo a vedere mostre e film, organizziamo viaggi… Insomma, la città offre tanto, e ho due-tre compagne di merende che mi seguono in ogni cosa. Io prima ero un po’ pigra, da quando vivo qui quella parte di me non c’è più. È morta».
Il suo lavoro come lo racconta?
«Ci vuole passione, pazienza, controllo. E una grande capacità di mediare fra le parti, cioè artisti, giornalisti, produttori etc. Bisogna avere sempre la risposta pronta e soprattutto fare in modo che sia quella giusta. Altrimenti sei fottuto…».
Difficile?
«All’inizio, sì. Bisogna essere come l’ago della bilancia, e spesso la pazienza va aiutata con l’esperienza…».
Era quello che voleva fare?
«All’università non sapevo nemmeno che cosa fosse un ufficio stampa. Ho imparato tutto da zero. Nessuno mi aveva mai insegnato qualcosa di questo mondo. Una volta laureata sapevo solo che mi sarebbe piaciuto fare un lavoro che avesse in qualche modo un legame con gli studi fatti».
Mai pensato di andare a vivere altrove?
«Ho creato il mio paradiso che non mi fa desiderare altro. Per ora sto benissimo a Milano. Dove devo andare?».
Quindi di tornare indietro non se bene parla proprio?
«Manco morta. Faccio fatica a starci quindici giorni di fila. Non voglio parlare male del Sud, è il mio mondo, ma adesso è sicuramente diverso da me. Per fortuna negli ultimi anni giù c’è stato il boom del kite surf, che tantissimi ragazzi praticano tutto l’anno. Almeno non stanno sul muretto a farsi le canne dalla mattina alla sera. E poi, di buono c’è che stanno nascendo tante associazioni, come Plasticaqquà, che si dedicano alla cura della città diventata negli anni la fogna d’Italia».
Fidanzata?
«Sì, con un tarantino che vive in Veneto. La formula week-end, lo confesso, per il momento è perfetta…».
Il cambiamento più importante che le ha regalato Milano?
«Mi ha dato maggiore sicurezza, cosa che ha fatto di me una donna diversa da prima, più profonda e consapevole».
Come si è milanesizzata?
«Quando ho realizzato di essere diventata una perfetta organizzatrice di eventi, serate per amici, pranzi a casa a mia, week end all’estero… Sono la regina dei dettagli! E prima non ero così. Ecco, Milano per fortuna mi ha “costretta” a diventare così. Oltre ad avermi regalato tanta fame».
In che senso?
«Sì, da quando sono qui sono affamata di conoscenza».
È la più italiana o la più internazionale?
«La più internazionale, non ho dubbi. Basta viaggiare nel resto d’Italia per rendersene conto».
Il quid qual è?
«Forse nel fatto che tutto qui, quando arrivi, ti fa capire che non sarai più quella di prima. Devi riprogrammare ogni cosa. Non puoi essere più superficiale, e pensare, mangiare, vestire male… La città offre la possibilità di migliorare. Bisogna fare attenzione a non sprecare le occasioni».
Ai suoi genitori come ha raccontato Milano?
«Per quello che è. E loro l’amano di riflesso perché hanno capito quanto è ed è stata importante per me. Adesso vengono spesso, li sto costringendo a cercare un monolocale altrimenti nipotini non li vedranno tanto presto…Ecco, il brutto di Milano è che ti distrae un po’ da cose importanti come la maternità. Diciamo che ti porta “naturalmente” a posticipare…».

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