MARIA ELENA BARNABI ## Milanese di Desenzano del Garda, 43 anni, giornalista

La signora di cui si parla adesso – meglio dire la ragazza, altrimenti (un po’) si incazza – è praticamente un pezzo unico. Lo stampo non esiste. C’è lei, e basta. Si chiama Maria Elena Barnabi, ha 43 anni, ed è una giornalista del mensile Cosmopolitan. Un anno fa, al termine della conferenza stampa di presentazione di X Factor, il fidanzato di Mika – il regista greco Andreas Dermanis – quando le ha chiesto quali fossero i suoi campi di interesse professionale, in perfetto inglese ha avuto questa risposta: «Entertainment and Sex». E lui, giustamente, ha urlato: «You’re The Coolest!». Ecco, l’aneddoto finisce qui. Il fidanzato di Mika lo rimetto a posto dove l’ho preso, in Rete, per lasciare spazio a lei, The Coolest. Una capace di scrivere di squirting, gangbang e sesso anale senza essere volgare, senza annoiare, senza dire stronzate. Bresciana doc, nata a Desenzano del Garda per sbaglio, Barnabi è separata con un figlio di 5 anni, ed è milanese dal 2002. Come Mario Brega in Un sacco bello ancora oggi non è comunista così, «ma cosììì!» (se non l’avete capita, la battuta, smanettate tre secondi su Google e risolvete).

Quando ha iniziato a occuparsi professionalmente di sesso?
«Nel 1999 quando, dopo aver scritto di salute e psicologia, per il sito di GQ ho cominciato a fare inchieste e interviste, leggere studi e ricerche da tutto il mondo, interpellare sessuologi e psicologi».
Con quale taglio?
«Serio e divulgativo. Per fare le cose come si deve bisogna prepararsi, altrimenti quello che fai tu lo possono fare tutti. Su un argomento come il sesso, poi…».
Visto il tema, quali sono gli equivoci più frequenti di cui è vittima?
«Mettiamola così: la sessualità è una cosa privata, e ognuno fa quello che vuole. Io non sono una blogger che racconta come scopa, ma una professionista che si occupa di sesso per scrivere articoli da pubblicare su Cosmopolitan. Punto. È il mio lavoro. Fra me e i colleghi che scrivono di finanza non c’è differenza, anzi. Io leggo tutto il materiale che mi arriva dai centri di ricerca e dalle università di mezzo mondo. Anche gli altri si aggiornano così? Boh!».
Ricadute sul privato?
«Nessuna. C’è sempre qualcuno che fa battutacce, ma va bene così. Con gli uomini la selezione è rapida e naturale: se si parla di sesso, pochi reggono la conversazione con la sottoscritta. Non me la sto tirando, ma è così».
A ottobre ha scritto un pezzo sullo squirting, la super eiaculazione femminile, che ha avuto un gran successo. Com’è andata?
«Su Pornhub, il sito porno più visto del mondo, “squirting” è la parola più cercata dalle donne italiane, che sono giustamente curiose e vogliono saperne di più. Io mi sono informata in ogni modo, dall’endocrinologo a un pornodivo come Rocco Siffredi ho parlato con tutti quelli che potevano aiutarmi a capire, e poi ho scritto il mio articolo. In pratica, quello che dovrebbe fare ogni giornalista».
Che cos’è lo squirting?
«Emmanuele A. Jannini, docente di Endocrinologia e Sessuologia Medica all’università Tor Vergata di Roma che sull’argomento ha pubblicato uno studio sul Journal of Sexual Medicine, con me è stato chiarissimo: non è urina. È un liquido che viene prodotto dal rene, stoccato nella vescica ed espulso durante l’orgasmo attraverso l’uretra».
Quante donne arrivano a un orgasmo che le porta a «squirtare»?
«Non ci sono statistiche».
Secondo la sua esperienza?
«Mah! Forse tre su dieci».
Perché lo squirting incuriosisce così tanto?
«Secondo me perché è la rappresentazione teatrale dell’orgasmo femminile. La prova provata. Ciò che permetta alle donne di dimostrare all’uomo che sono finalmente venute. E quindi avere un’ansia in meno. Non tutte possono arrivarci, ma tutte possono provarci».
Una curiosità, nel resto del mondo le donne che parola cercano?
«Lesbian, il sesso lesbico».
Altri temi che le hanno dato soddisfazione?
«Il cunnilingus, il sesso duro con sottomissione, il feticismo del piede… Lo sa che quasi tutti i feticisti, e in Italia ce ne sono tanti, mi hanno detto che d’estate tutte le donne dovrebbero coprirsi i piedi perché quasi tutti bruttissimi?».
Milano se si parla di sesso che città è?
«Milano a letto se la spassa. E per i gay è il paradiso».
Non solo lavoro, quindi.
«Si sgobba tutto il giorno, ma se uno la sera vuole divertirsi qui trova di tutto. A Milano è facile fare sesso, ma è difficile vivere storie serie. Non a caso è una città piena di donne single».
Altre mancanze?
«Non c’è ancora un negozio figo di sex toys come in Inghilterra, Spagna o Portogallo. Monomarca come Coco de Mer o Ann Summers, che vendono di tutto a prezzi normali, per il largo consumo, da noi manco l’ombra. Si comprano solo online».
Quando è arrivata a Milano?
«Nel 2002, ma è un po’ lunga da raccontare».
Prego.
«Dopo il liceo mi iscrissi a Economia a Brescia e poi, visto che non funzionò, passai a Legge. Non ho finito, però, perché nel 1994 iniziai a lavorare a Radio Brescia Popolare, che faceva parte del network di Radio Popolare ed era gestita dalla Fiom locale, all’epoca rappresentante di migliaia di operai metalmeccanici bresciani. Avevo 22 anni. Non facevo il giornale radio, ma curavo la regia e mettevo dischi. Non guadagnavo, per me era normale fare volontariato. Sono cresciuta seguendo le partite di rugby e facendo l’attivista dell’Arci Ragazzi».
Famiglia di militanti?
«Certo. Papà è sempre stato iscritto al Pci, anche se faceva il direttore di banca. Papà era il tipo che che mi faceva vedere i film di Akira Kurosawa in lingua originale con i sottotitoli in tedesco, o mi faceva imparare gli Inti Illimani a memoria. Mamma, invece, era una ragioniera commercialista e faceva la pendolare con Milano. L’ufficio era in Galleria Vittorio Emanuele II. Per questo andavo dalle suore: gli asili pubblici non avevano l’orario prolungato e loro sì».
Un grande classico dei cattocomunisti.
«Noi non lo siamo mai stati, anche se papà mi ha sempre detto che Gesù era comunista. Comunque le canzoni dei partigiani le ho imparate dalle suore. In fondo, siamo pur sempre di Brescia, l’antifascista Leonessa d’italia».
E poi?
«Dal ’95 al 2000 mi sono messa a scrivere, e studiare, per un service che lavorava con giornali come Viversaniebelli, Vitality, Focus… Per un periodo ho fatto anche l’interprete per un’azienda e una banca che cercavano clienti in Sudafrica, Cina, India. Ho fatto anche qualche viaggio di lavoro, cosa a cui ero molto abituata. Ho iniziato a girare il mondo a 11 anni. I comunisti, all’epoca, erano persone serie».
Cioè?
«D’estate, da ragazzina, sono stata ovunque grazie ad Arci Ragazzi, un progetto educativo di sinistra nato nel 1980. Durante l’anno in varie parti d’italia si organizzavano attività di ogni tipo – teatro, letture, concerti etc. – nei mesi estivi il percorso educativo prevedeva scambi internazionali fra gruppi simili sparsi nel mondo. Fino a 11 anni in Italia, dopo si andava all’estero».
Dove?
«A 11 anni e mezzo in Francia, a Le Havre. Dormivamo nelle scuole pubbliche con i sacchi a pelo e seguivamo corsi di animazione di strada e laboratori di aquiloni. Con noi c’erano algerini, spagnoli, portoghesi e, ovviamente, francesi. Nell’86 andai anche a Cuba».
Addirittura?
«Avevo 14 anni, fu bellissimo. Quell’anno eravamo mille provenienti da tutto il mondo socialista: coreani, sovierici, romeni, sudamericani, comunisti statunitensi… Rimasi per un mese: facevamo ginnastica dopo la sveglia, l’alzabandiera tutte le mattine, ascoltavamo i discorsi sulla rivoluzione… Lì incontrai il mio primo fidanzato, un ragazzo russo. Lui non parlava inglese, io non parlavo russo, però in un modo o nell’altro ci capimmo lo stesso».
Sesso?
«Ma va… Ero piccola. Dopo quell’esperienza andai in Galles, Portogallo e Inghilterra. Dai 18 anni in poi iniziai a fare l’animatrice, ho smesso con l’Arci nel 1995, a 23 anni».
Suo figlio farà il boy scout?
«Per carità. Vorrei che facesse esperienze simili alle mie, che per me sono state fantastiche. Insomma, per anni ho fatto la vita della giovane comunista di una volta e mi è piaciuto. Alcuni dei miei migliori amici li ho conosciuti in quegli anni».
Con il lavoro come andò a finire?
«Nel 2000 mi ero rotta i coglioni del service e mi misi a fare tutto da sola. Ovviamente perché c’era un mercato editoriale che adesso non c’è più. Mi proposi direttamente ai giornali, e funzionò subito. Vivevo sempre a Brescia, da sola ovviamente, e poi nel 2002, all’improvviso, Donna Moderna mi offrì il primo contratto per una sostituzione maternità. Non da praticante perché avevo già fatto l’esame da professionista. Dopo poche settimane di Brescia-Milano-Brescia misi a fuoco che dovevo trasferirmi. Lo sapevo da una vita che prima o poi sarei venuta qui».
Il brutto di Milano?
«Le merde dei cani per strada e i cessi sporchi nei locali. Per il resto, va benissimo. Questa è la città più ospitale del mondo».
È più italiana o europea?
«È un caso a sé, Milano. Qui non conosco una sola persona che faccia un lavoro normale, che abbia ritmi e frequentazioni ordinarie».
E stata avara in qualcosa?
«Tutto quello che volevo fare, l’ho fatto: figlio, lavoro, casa… Certo, chissà quello che succederà nei prossimi anni».
Un Piano B ce l’ha?
«Non ce l’ho. Se dovesse andar male, potrei vendere casa, o provare a fare altro in questo mondo».
L’esperienza di lavoro più bella che ha fatto?
«IL G8 di Genova, nel 2001. Correvo da una parte all’altra, scrivevo cronache e giravo filmati per il web. Bellissimo. Mi sarebbe piaciuto continuare, ma facendo quel tipo di servizi non ci campavo».
Chi o che cosa l’annoia a Milano?
«Mi annoiano profondamente I radical chic, i ricchi o i figli dei ricchi che non hanno idea di che cosa sia un vero problema… Ecco, quando ne incontro uno che sbraca, la barricadera di una volta viene subito fuori. Ma andate a cagare…».
Addirittura?
«Ma sì… Non prendiamoci troppo sul serio. Tutti».

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