LORENA BEGA ## Milanese di Milano, 25 anni, receptionist

Indipendenza. Lavoro. Pragmaticità. Lorena Bega è nata nel 1990, a Milano ovviamente, e sembra che i tratti forti di questa città li abbia assorbiti nel dna. Tutto quello che dice e che fa è milanesissimo. Roba da Ufficio del turismo. Lorena non ha studiato tanto, ma di cose ne sa: ha cominciato a lavorare a 16 anni e già ne ha viste un bel po’. Adesso, assieme a tante altre cose – per esempio, la sua passione per la velocità – ci racconta com’è andata finora e come “gira” secondo lei questa città.

Qual è la sua Milano?
«Sono nata a cresciuta a Città Studi e adoro i Navigli. Alla faccia di chi dice che non è bella, a me Milano piace tutta. Ovunque vada mi sento a casa. Oddio, mica tanto: adesso vivo vicino a Segrate, non è che faccia i salti di gioia».
Ha mai pensato di lasciare la città?
«Nemmeno in Brianza riuscirei ad andare. Già dalle parti di Lambrate mi sento un po’ in castigo».
Mi dà una sua definizione dei milanesi?
«Si riconoscono ovunque: a volte sbruffoni, eccessivi, sgraziati, ma anche generosi, curiosi, solidali. Dimenticavo: sono anche chiusi».
Sicura?
«Sì. Poi si aprono, ma d’istinto i milanesi quando si trovano a che fare con qualcosa o qualcuno che non conoscono si chiudono».
Che cosa bisogna capire di Milano per non prenderla di traverso?
«Che è una città travolgente. Bisogna accettare al volo le sue regole: fare, fare, fare. Capito quello, qui c’è una vita per chiunque. Se te la sai giocare».
La Milano che le piace di più?
«Quella che vive di notte. Io ho lavorato come cassiera, cameriera e barista e di notte è un altro mondo: affascinante, sereno, tranquillo. Non è vero che è pericoloso. Non è vero che c’è tutta questa delinquenza. Può succedere, certo, il matto ogni tanto esce di casa, ma alle quattro del mattino è difficile trovare uno incazzato».
È la città più italiana di tutte, o no? In fondo accoglie chiunque…
«Forse, non saprei. Sull’accoglienza posso dire che qui se ne pratica anche troppa. L’altro giorno sono passata davanti a una scuola, durante l’uscita, e non c’era nemmeno un italiano. Mi ha fatto impressione. Tutti quelli che per un motivo o per l’altro passano da qui, poi non vanno più via. Si lamentano, ma alla fine qui restano».
Se avesse un figlio lo farebbe crescere qui?
«Sì, certo. Anche se qui a Milano ci sono pericoli e tentazioni di ogni tipo. Forse in provincia crescerebbe meglio, chi lo sa?».
A lei com’è andata?
«Bene, ma ne ho viste veramente tante. La droga, per esempio, è ovunque. Al pensiero di lasciare mio figlio in compagna di gente simile a quella con cui sono cresciuta non dormirei più».
Lei ha 25 anni: come sono i suoi coetanei?
«Diversi da me, non mi ci ritrovo quasi mai. Pensano che sia normale vivere ancora con i genitori, non pensano mai alla loro indipendenza. Sono tutti nati “comodi”. Se sei cresciuto nella bambagia quando qualcuno chiede loro di fare un sacrificio, uno straordinario, un sabato o una domenica, quasi tutti reagiscono male».
A che età è andata via di casa?
«A 18 anni già vivevo da sola, a 16 ero già scappata da mia mamma, con cui non andavo d’accordo, per andare da mia nonna».
Che scuola ha fatto?
«Studiavo per prendere il diploma da operatore di servizi sociali. Ma non ho finito. Volevo rendermi indipendente il più presto possibile e così mi sono messa subito a lavorare. Avevo bisogno di pensare a me stessa. Sono molto contenta di quello che ho fatto finora, da sola. Non devo dire grazie a nessuno».
Che lavori ha fatto?

«La cameriera in un bar, una birreria, una pizzeria… Anche due-tre impieghi contemporaneamente. Qui il lavoro, se vuoi veramente lavorare, c’è. Io non sono mai stata a casa un solo giorno. Certo, bisogna adeguarsi. Anche chi ha studiato e non trova il lavoro che vorrebbe deve darsi da fare, è assurdo stare a casa senza fare niente».
Adesso che cosa fa?
«La receptionist, l’addetta al ricevimento (presso il palazzo della Hearst Magazines Italia di via Bracco 6, ndr). Ho un contratto a tempo indeterminato e lavoro sei-sette ore al giorno».
Questo lavoro come ha iniziato a farlo?
«Quando lavoravo nel locale, cosa che mi faceva andare a letto alle 4, un cliente mi propose di lavorare come receptionist. Siccome ho sempre voglia di imparare, mi lanciai. Per otto mesi mi ritrovai impoegnata con due lavori da fare nell’arco della giornata, un vero massacro. Però non sono il tipo che molla, o si tira indietro,anche  e andai avanti. Adesso alla discoteca Borgo – ex Parco delle Rose, a Corvetto – il sabato sera faccio la cassiera».
Guadagna a sufficienza?
«Certo, ci sto dentro. Potrei anche non fare tutto il resto, ma non si sa mai che cosa può succedere nella vita».
Le zone della città a cui è più legata?
«Ho vissuto un po’ da nomade, ho girato tutta la città. Se proprio devo scegliere, via Ludovico il Moro. Ma anche il Castello, alcuni vicoli dei Navigli, certi cortili, sant’Ambrogio, il Duomo… Non ha idea di quanta gente, pur vivendo a Milano, non li ha mai visitati».
Le piacciono i nuovi grattacieli?

«Sì, tanto. Non mi piace come hanno rifatto la Darsena. Mi fa schifo, adesso sembra finta. Era meglio prima vecchia e rovinata».
La crisi?
«Per me non esiste semplicemente perché per me c’è sempre stata. Ci sono nata. Meglio così: mi sono risparmiata la tristezza di cadere»
La passione?
«Mi piace correre, tanto, con qualsiasi mezzo. Scooter, auto, moto. A volte esagero un po’, però che goduria…».

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