PAOLONE AMATO ## Milanese di Cerignola, 29 anni, cuoco

È una storia milanesissima, quella che state per leggere, anche se i cinque protagonisti sono tutti pugliesi, per la precisione di Cerignola, in provincia di Foggia (uno è di Canosa di Puglia). Lo è perché questi ragazzi d’eta compresa fra i 24 e i 30 anni, si sono messi in testa di aprire un’attività commerciale puntando su un unico prodotto, i cosiddetti panzerotti – tipico prodotto della Puglia – sfidando (si fa per dire) un’istituzione cittadina come il mitico Luini di via Santa Redegonda 16, che qui i panzerotti li frigge dal 1949 e in pratica li ha fatti mangiare a tutti i milanesi. Insomma, una di quelle storie che qui a Milano piacciono molto. Questi cinque ragazzi sono Paolo Amato, Michele Conte e Mirko Cotugno (il più giovane), che sono tutti del mestiere, e Gianpaolo Sgaramella e Vincenzo Terenzio, che hanno avuto l’idea e hanno trovato i soldi per partire pur non avendo alcuna esperienza nel settore della ristorazione (il primo è laureato in Economia aziendale e fino a poco fa si occupava di marketing per una catena di palestre, l’altro è un ingegnere chimico). Per saperne di più ne abbiamo parlato nel locale di viale Bligny 1, un’ex copisteria ribattezzata Panzarotti, con Paolo Amato – ogni tanto è intervenuto anche l’ingegnere – che da cuoco si occupa delle farciture. Un tipo sveglio e simpatico, che sa guardarsi intorno. Lo chiamano tutti Paolone perché molte delle cose che prepara, evidentemente, non si allontanano più di tanto dalle sue mani.

Cominciamo dalle basi: panzarotti o panzerotti?
«Panzerotti. Noi li abbiamo chiamati con la “a” per differenziarci dagli altri: i nostri possono essere farciti a piacere. Ai milanesi proponiamo quello che all’estero chiamano luxury street food».
Addirittura…
«Noi non vogliamo soddisfare solo il palato e lo stomaco, ma anche la percezione mentale».
Boom! Paolone, si sente bene?
«Sono serio. A me piace vedere la persona che, dopo un morso al nostro panzerotto, gode. Per chi fa un lavoro come il mio è qualcosa di estremamente gratificante. Chi viene a mangiare da noi non è che trova due metri di pasta fritta senza capire quello che c’è dentro… E poi è importante che se ne vada contento».
Quanto costano?
«I nostri panzerotti, che sono quasi il doppio degli altri in circolazione, vanno da tre euro in su, raramente si spende più di sei. Tutti nella base hanno già pomodoro e mozzarella».
Funzionano?

«Abbiamo aperto il 21 settembre 2015 e per ora sembra di sì: ne vendiamo circa duecento al gorno. Abbiamo tanti clienti terroni come noi, ma anche tanti milanesi e del nord in genere. E poi abbiamo gli studenti della Bocconi, che è di fronte a noi, e qualche straniero di passaggio che li prova e va fuori di testa. Non scherziamo mica, qui».
Quando vi siete incontrati?
«Veniamo tutti da Cerignola. Ci conosciamo da una vita. Io mi occupo delle farciture, Mirco e Michele dell’impasto. Veniamo da anni di esperienze maturate in questo settore, la ristorazione è il nostro lavoro. Gli altri due sono gli studiosi, i laureati del gruppo. I capoccioni…».
Perché avete deciso di aprire un’attività come questa?
«Parte tutto da Vincenzo e Gianpaolo, i “milanesi”, quelli che in città vivono da anni perché dopo la maturità sono venuti qui per studiare. Questa parte della storia, però, ve la racconta lui».

Interviene Vincenzo Terenzio, ingegnere chimico, 30 anni.

«Più o meno è andata così: provando i panzerotti di un locale molto famoso, vicino al Duomo, io e Gianpaolo abbiamo pensato che erano un po’ diversi da quelli che mangiamo in Puglia… Così abbiamo pensato che, se avessimo aperto un punto vendita, i milanesi avrebbero potuto fare il confronto e consumare anche i nostri. Da lì in poi abbiamo cominciato a pensare a un investimento di questo tipo, cercando un locale nella zona di viale Bligny. Alla fine l’abbiamo trovato».
La squadra quando l’avete formata?
«Sapevo che Mirko lavorava in un ristorante in Austria. L’ho ritrovato sui social network e gli ho chiesto subito un parere sul progetto. Quando mi ha detto che non gli sembrava una brutta idea, gli ho chiesto di imbarcarsi con noi in questa avventura. Ci ha detto di sì, anche se non è stato facile. In Austria ci sono tutele e stipendi importanti e Mirko aveva lavorato anche a Londra. Insomma, non è che gli abbiamo offerto 700 euro… Trovato l’accordo, Mirko ci ha parlato di Michele, che lavorava in una pizzeria a Cerignola, e anche a lui abbiamo fatto la stessa proposta. Pure Michele ha accettato al volo».
Siete tutti soci?
«No. La società è composta da me, Gianpaolo e mia sorella. Loro tre sono stipendiati. Però il progetto è comune e vogliamo che cresca in maniera importante per tutti. Vorremmo allargarci, a Milano e fuori Milano. Se poi i nostri panzerotti sono buoni il merito è di loro tre. Io in cucina so far bollire l’acqua. Fine».
Continua a lavorare come ingegnere o ha mollato tutto?
«Vado avanti. Lavoro per una società che costruisce piattaforme petrolifere. Nel pomeriggio, quando stacco, vengo sempre qui a dare una mano».

Paolone, lei quando arriva?
«All’ultimo momento. Io sono a Milano dai primi di settembre perché avrei dovuto iniziare a lavorare al ristorante Giacomo all’Arengario. Un paio di settimane prima avevo detto a mio padre, che a Cerignola ha una ditta di distribuzione alimentare e viene spesso a Milano, che mi sarebbe piaciuto trasferirmi qui. Ero disoccupato».
Ha sempre fatto il cuoco?
«No. Dopo il diploma ho lavorato per dieci anni nell’azienda di papà, poi ho deciso di darmi da fare in cucina, la mia grande passione. Basta vedermi per capirlo… Ho fatto anche sei mesi di stage a Roma, da Heinz Beck, chef tedesco che dal 2004 al ristorante La Pergola ha sempre 3 stelle Michelin. Io curavo la preparazione degli antipasti freddi».
Antipasti freddi, e basta?
«Sì. Da Heinz Beck tutto ha un suo responsabile, ogni cosa è studiata nei minimi dettagli. Finita l’esperienza da lui, sono tornato in Puglia, ma non avendo trovato lavoro, eccomi a Milano – alla fine dell’estate – con mio padre».
E gli altri?
«Sapevo che Mirko e Michele si erano trasferiti, li ho chiamati e ci siamo visti per un aperitivo assieme agli altri due: Gianpaolo e Vincenzo. Mi hanno raccontato del progetto e ho detto che, per differenziarsi dagli altri, avrebbero dovuto fare i panzerotti gourmet, con farciture speciali. Da allora è scoppiato l’amore, mi hanno chiesto di unirmi a loro, e io ho rinunciato al lavoro da Giacomo…».
Panzerotti gourmet?
«Sì, dentro ci mettiamo quanto di più buono c’è in circolazione qui e giù da noi: mozzarella, stracciatella, carpaccio di cavallo, lingua di vitello, maionese senapata, ricotta con timo mantecata, filetti di acciughe e fiori di zucca ripassati, mortadella con olio e tartufo, crema di ceci e calamari, carne salata… E poi abbiamo quasi cento tipi diversi di birra provenienti da tutto il mondo».
Milano è per sempre?

«A questo punto spero di sì. ci vivo da tre mesi e mi piace. Mio padre mi dice che questa città è come una mucca da mungere. Se ci sai fare, rispetti le regole, Milano ti premia e ti regala le giuste soddisfazioni. Roma è bella, ma è diversa: Milano offre vere opportunità, Roma no. Ha tempi lunghi, che possono anche essere interminabili. Milano invece è una città aperta, che accoglie chiunque. Chi ne parla male o non c’è mai stato, o non la conosce. I più stronzi con Milano sono quelli che magari vengono da giù e con un po’ di spocchia sono rimasti ai luoghi comuni e non hanno saputo capirla. Molti giù si sentono superiori a chi vive qui. Per quale motivo? Qui siamo ai massimi livelli in tutto».
La gente è tanto diversa da giù?
«Giù è più affettuosa, c’è poco da fare. Non è una città che accoglie a braccia aperte, però se uno ce la fa a capire che all’inizio sembra un altro mondo ma poi dopo un po’ la natura dell’uomo è la stessa, ti fa sentire a casa. riesci a integrarti. La cosa più brutta per me è una sola: stare lontano da famiglia e amici».
Le milanesi come sono?
«Bellissime. Sono arrivato i primi di settembre e per ora ancora niente, ma devo organizzarmi. Fra qualche giorno sarò costretto a mettermi una fascia davanti agli occhi perché non riuscirò più a lavorare: qui ci sono le donne più belle del mondo. Posso dire una cosa?».
Se non è una battutaccia da caserma…
«No, per carità. Insomma, mai avrei pensato di trovarmi così bene a Milano a fare i panzerotti. Sognavo chissà quale ristorante e invece… Mi sento molto soddisfatto perché lavoro in una città moderna con un prodotto della mia terra. E poi miglioro giorno dopo giorno. Sperimento tanto. Mi sono messo a studiare l’abbinamento fra i vari cibi».
Per esempio?
«Fra un po’ vorrei fare un condimento ostriche e kiwi, che insieme dal punto di vista molecolare stanno molto bene».
Sicuro? in questi casi chi fa la cavia?
«L’ingegnere. Ha un buon palato. A lui ho chiesto anche di importare quattro tipi di carne speciale: canguro, zebra, struzzo e cammello. Ho in mente accostamenti molto particolari».
Quando non lavorate che fate?

«Andiamo a fare due passi sui Navigli, la zona che mi piace di più fra quelle che ho visto finora. Per il momento non siamo ancora stati in discoteca, però ci rifaremo. Milano è la patria del divertimento, qui puoi fare quello che vuoi».
Dove abitate?
«Noi tre, i neo milanesi, viviamo insieme: abbiamo preso in affitto un appartamento a 200 metri dal locale. Però a lavorare andiamo in motorino, siamo del Sud…».
A 35 anni come e dove si vede?
«A Milano, magari a gestire un altro locale così. Vogliamo crescere tutti insieme».
E se viene qualcuno che le offre più soldi per fare altrettanto?
«I soldi sono importanti, ma al momento mi interessa soprattutto fare le cose per bene. Per guadagnare di più c’è tempo. A Milano, alla faccia della crisi, di moneta ne gira tanta. Prima o poi una bella fetta della torta arriverà anche dalle mie parti. L’appetito non manca, mi farò trovare pronto».

 

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