REGINA PATABENDIGE ## Milanese di Matara (Sri Lanka), 52 anni, colf

Regina ha un sorriso che raddrizza anche la più storta delle giornate: fa bene alla salute. È una specie di manifesto vivente in favore dell’accoglienza e della solidarietà. Nata a Matara, una delle città più grandi dello Sri Lanka – 160 chilometri a sud dalla capitale Colombo, è stata gravemente danneggiata dallo tsunami del 2004 – Regina è milanese dal 1995: arrivò in città tre anni prima, da clandestina. Raggiungeva il marito, a Milano dal 1990, anche lui illegale per i primi due anni. Lavora duro, Regina. Fa la sua parte, non si lamenta, tira dritto. E ride. Forse perché le sono chiare due-tre cosette che a noi sfuggono da tempo.

Prima suo marito nel ‘90, poi lei nel ‘92: perché proprio Milano?
«Perché è una città ricca e con tanto lavoro, e perché qui c’erano dei nostri amici dallo Sri Lanka che si offrirono di dare un primo aiuto a mio marito».
Come arrivaste in città?
«Con un visto turistico, che all’epoca si dava senza problemi e adesso è praticamente impossibile da ottenere. Prima arrivò mio marito, nel ’90, due anni dopo io».
Che lavoro facevate nello Sri Lanka?
«A Matara ero impiegata in un’agenzia di viaggi, che poi chiuse. Mio marito era un operaio».
Da clandestina come si organizzò?
«Facendo lavoretti in nero per due anni e mezzo. Poi, grazie a una giornalista che regolarizzò la mia posizione, riuscii ad avere il primo permesso di soggiorno e poi, dopo cinque anni, la carta di soggiorno, oggi diventata il permesso di lungo periodo. Per dodici anni ho lavorato in un’impresa di pulizie, che poi per colpa della crisi si è trasferita. Io ho perso il posto e sono tornata a lavorare nelle case. Per me, dal punto di vista economico, da quando c’è l’euro è peggiorato tutto».
E adesso?
«La crisi c’è ancora, niente è più come prima. Bisogna tener duro e andare avanti».
Per il resto, come sta a Milano?
«Bene. Anche se qui è tutto diverso rispetto al posto dove sono cresciuta. Da noi non abbiamo tante cose, è vero, ma qui sono tutti stressati».
Milanesi brava gente o no?
«Sì, dai. Quasi tutti buoni, qualcuno così e così».
Così e così come?
«Egoisti e superficiali. Ogni tanto si incontra sempre quello che ti tratta come se tu non fossi una persona, ma una macchina».
Mai avuto problemi di razzismo?
«Io mai. Mio marito sì. Lui lavora come tecnico di sistemi d’aria condizionata e un paio di anni fa un bergamasco gli ha detto che non sopportava quelli con la pelle nera. Più che offensivo, è stato triste. Che vuol dire? Negli ultimi tempi devo dire che l’aria è un po’ cambiata: c’è meno rispetto, forse perché in giro ci sono tantissimi clandestini».
L’aspetto peggiore?

«Io sono venuta qui per lavorare e ho trovato quello che cercavo, quindi non posso parlare male di Milano. Però correre dalla mattina alla sera che senso ha se alla fine non puoi condividere con gli altri? Se non puoi stare con parenti e amici che vita è? E poi, perché qui tanta gente pensa che i poveri non abbiano diritto alla felicità?».
La differenza più grande fra Italia e Sri Lanka?
«Noi siamo naturalmente portati a pensare agli altri. Qui non c’è tanto rispetto fra marito e moglie, per i genitori, gli anziani. Da noi sono cose ancora importanti. Qui sembra che l’abbiate dimenticato».
Come si è milanesizzata?
«Con il cibo, ovviamente. Qui è meraviglioso. E anche nella voglia di fare e imparare tante cose nuove. Qui c’è tutto un mondo da scoprire che è molto interessante».
Qual è la parte della città che le piace di più?
«Il Duomo, bellissimo. E anche il Castello Sforzesco, un posto magico».
Dove vive?
«Dalle parti di viale Certosa. Stiamo bene».
Di che religione è?
«Io sono buddista, mio marito è cattolico».
Ha fatto un matrimonio combinato?
«No. Ci siamo scelti. il nostro è stato un matrimonio d’amore».
Quando arriverà alla pensione che farà?
«Torneremo a casa. Non ho figli, non sono arrivati. Lì però mi aspettano mia sorella e i miei fratelli».
Tornate spesso?
«Ogni anno, se possibile. Sono grata all’Italia, ma lì c’è il cuore».

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