AUDREY GOUBAND ## Milanese di Parigi, 40 anni, producer Tv

Audrey Gouband è francese, di Parigi – «Paris 9ème arrondissement, sono nata nella stessa clinica di Johnny Halliday e Francoise Hardy», ci tiene a precisare – l’anno prossimo farà quarant’anni, e non assomiglia nemmeno da lontano alle tante straniere arrivate in Italia perché appassionate d’arte, cultura, estro italiano. Con quella roba lì non ha niente a che fare, o almeno non aveva. Audrey è arrivata a Milano per amore, solo quello (amore che nel frattempo è stato archiviato). Poi, con il passare del tempo, si è “invaghita” anche del resto. Com’è andata ce lo racconta lei stessa davanti a uno spritz preso in un locale per ciclisti a due passi dalla fermata della metro Piola, l’Upcycle di via Ampère 59, un posto con ruote, maglie sportive, bici da tutte le parti e un unico lunghissimo tavolo.

Da Parigi come si è ritrovata a Milano?
«Nel 2004, undici anni fa, vivevo a Parigi con il mio fidanzato italiano, che da venti viveva lì per motivi di lavoro. Io lavoravo in una galleria d’arte contemporanea, specializzata in opere pop e in particolare di Basquiat, lui come autore televisivo. A un certo punto riceve una buona offerta per trasferirsi a Milano. Ne parliamo a lungo, alla fine accetta, io mi accodo, e nel giro di poco più di una settimana sbarchiamo a Milano. Dopo poco comincio a lavorare come assistente di produzione sul set di Camera Cafè, sit-com trasmessa da Canale 5. E da allora il lavoro, anche se con tanti alti e bassi, va sempre in quella direzione. L’amore, però, finisce tre anni dopo».
E quindi?
«Ho iniziato a valutare la situazione in maniera diversa e a guardarmi intorno. Ho anche pensato che avrei potuto trovare lavoro in Francia e quindi tornare a Parigi. Tengo l’appartamento di Milano ancora per un po’ mentre dalla Francia mi mandano a seguire una produzione alle Hawaii. Il problema è che volevano farmi viaggiare come una trottola, ovunque, non avrei avuto una vera e propria base a Parigi. Vado, ma poi capisco che Milano mi era entrata nel cuore e mi mancava da morire».
E quindi?
«Niente. Sono rimasta in città, adesso non solo ci sto bene, mi piace proprio. Insomma, alla fine Milano mi ha conquistata. E non l’avrei mai detto, almeno all’inizio. Lo sa che in Francia si dice che certe rivoluzioni vengono meglio se fatte lontano da casa? Abbiamo sempre ragione, noi francesi…».
Che cosa c’è da “rivoluzionare”?
«Non dico tutto, ma tanta roba sì. Soprattutto quella legata al lavoro. Qui alcuni aspetti del business risultano sempre sfuggenti, l’organizzazione spesso approssimativa, tutto un po’ rilassato. A volte un po’ troppo per una disciplinata come me. Lo so che fare discorsi del genere a Milano, che è la città più pratica e fattiva d’Italia, sembra strano ma è così».
La crisi è stata dura?
«Dopo quella del 2006-2007 le occasioni di lavoro nel mio settore si sono ridimensionate e per il momento continuano a scendere. In Francia come in Italia. Di fatto la cosa molto positiva di Milano, che me la fa preferire ad altre città, è la qualità della vita. Qui si vive bene, si mangia e si beve splendidamente, c’è ancora spazio per ritrovarsi fra persone reali e avere rapporti umani sani e costruttivi».
Dal punto di vista culturale Milano come sta?
«Culturalmente non mi entusiasma, tende un po’ troppo ad omologare, penso ad esempio alle mostre che sono tutte “montate” in maniera abbastanza piatta e ripetitiva. Mai una volta che si esca da un evento, una presentazione o una performance pensando: “Wow! Mai vista una cosa del genere…!”. Detto questo, i segnali degli ultimi tempi in generale sono abbastanza incoraggianti. Qualcosa si muove. Oltre a maggiori risorse economiche di sicuro ci vorrebbe più coraggio, soprattutto da parte dei giovani e di tutti quelli che sono fuori dai circuiti riconosciuti».
Milano è la città dove restare anche in futuro?

«Non saprei. Per ora non ho ancora trovato il posto al mondo dove stare».
Quali sono le zone di Milano a cui è più affezionato?
«Per mille motivi, personali e professionali, al volo mi vengono in mente Città Studi, Parco Marinai d’Italia, viale Piceno. E via Paolo Sarpi, che trovo bellissima anche perché in qualche modo milanesi e cinesi hanno trovato una maniera per convivere e perché, ripulita, via Paolo Sarpi ha fatto cambiare aspetto a tutto il quartiere. Non cito i Navigli perché sono belli ma ormai completamente snaturati. Un po’ generalizzo, ma non più di tanto: da quelle parti adesso ci sono solo locali per gente che di solito non mi sembra tanto interessante…».
Se mai avrà figli dove li farà crescere?
«Conosco bene l’America perché da sei a undici anni ho vissuto lì e quindi la escludo immediatamente. In Francia è di sicuro tutto più efficiente, ma alla fine credo proprio che li farei crescere qui. Mio fratello maggiore, che ha tre figli e non si è mai spostato da Parigi, non approverebbe».
Perché?
«Mi prende in giro da undici anni per la mia scelta di venire a vivere in Italia. “Che fai lì? Gli italiani fanno tutto e il contrario di tutto, sono pazzi… ”, mi scrive cose così».
E lei, come replica?
«Per questo che vivo a Milano. Per ora».

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