DAVIDE ZOLLI ## Milanese di Mirano, 35 anni, musicista

Non lo vedrete al Festival di Sanremo, a X Factor e nemmeno a The Voice. Quella roba lì non fa per lui. Davide Zolli, classe 1980, nato a Mirano, in provincia di Venezia, e milanese dal 2011, è uno di quei musicisti che va per la sua strada con passione, curiosità e convinzioni ben radicate. Questo si fa, questo non si fa. Non è vero che vale tutto, come per tanti suoi colleghi. Dal 2003 al 2015 Zolli è stato la metà dei Mojomatics – lui era DavMatic, batteria e percussioni; il suo socio Matteo Bordin era MojoMatt, voce, chitarra e armonica, e insieme facevano 120 concerti l’anno – garage band molto conosciuta nei circuiti underground nazionali e internazionali. Sciolto il duo un anno fa – dopo quattro album si erano stufati – Zolli e Bordin sempre insieme hanno formato due nuovi gruppi, uno di musica sperimentale chiamato Squadra Omega e un altro di rock’n’roll che per ora è senza nome. Davide si è lanciato anche nell’organizzazione di tour e nella gestione del calendario della musica dal vivo di un locale, la Sacrestia. Parliamo di questo e altro in un bar della Stazione Centrale.

Perché si è trasferito a Milano?
«Per amore. La mia ragazza, brianzola, viveva qui da tempo, così a un certo punto abbiamo preso la decisione di vivere insieme e sono venuto. La città la conoscevo, avevo suonato qui spesso, avevo tanti amici, buoni contatti di lavoro».
Il primo impatto da residente com’è stato?
«Quando venivo per un giorno o due, brutto. Mi sembrava che fosse la capitale dei fake e non una città a dimensione umana, pensavo che tutto ruotasse intorno a party, eventi, aperitivi. Vivendoci ho capito che anche qui è possibile trovare o costruire dinamiche più calorose e vere».
Dove vive?
«Fino a poco tempo fa sui Navigli, adesso dalle parti di piazza Lima, zona molto più tranquilla e residenziale».
Professionalmente a che punto è?
«Esaurita l’esperienza Mojomatics, che ormai stava in piedi solo per soldi, cosa che non andava bene, il mio socio è rimasto a Montebelluna per concentrarsi sul suo studio di registrazione, io qui ho iniziato a curare una rassegna musicale, Sotto la Sacrestia, e a organizzare tour europei di vari artisti per conto di una grande agenzia».
Dal punto di vista musicale Milano è sveglia o dorme in piedi?
«Negli ultimi anni il panorama underground indipendente è diventato molto interessante. Si sente tanta bella roba. Per chi vuole fare musica questo, adesso, è il posto migliore dove stare. C’è grande energia nell’aria e ci sono grandi novità all’orizzonte».
Nel locale chi chiama a suonare?
«Cerco di proporre vari generi musicali, tutti di nicchia, con artisti italiani e stranieri. Tutta gente che vende 1000-2000 copie dei loro dischi».
Per capire meglio?
«Musica sperimentale, punk, hip hop… Poco fa abbiamo ospitato il concerto dei Wolf Eyes di Chicago, gruppo ultra noise con una grande storia alle spalle. Nei prossimi giorni ci saranno i Dead Meadow, americani che fanno psycho rock, e i giapponesi Kikagaku Moyo, che suonano space rock e via dicendo. Ci sono tanti jazzisti bravi che mi piacerebbe portare da noi, ma sono tutti fastidiosamente snob. Vogliono uno spazio solo jazz frequentato solo da appassionati jazz. E quindi…».
I milanesi apprezzano?
«Sì, abbastanza. I biglietti costano da 5 a 15 euro massimo. Nella sala concerti della Sacrestia ci stanno 150 persone e la riempiamo quasi sempre. In questi mesi ho capito che i giovani milanesi si muovono solo quando sanno che tutti gli altri amici stanno facendo altrettanto. Insomma, escono in gruppo o restano a casa. Quelli di 35-40 anni invece fanno quello che vogliono, come tutti a Venezia».
Sono di più quelli di nascita o quelli d’adozione?
«Mi sembra più adottivi, come in tutta la città. Noi trapiantati, ormai l’ho capito, qui a Milano siamo la maggioranza».
Agli amici veneziani come la racconta questa città?
«Come una grande sorpresa. Dalle mie parti Milano è percepita in maniera quasi sempre negativa. È ammirata per la capacità di fare le cose, ma alla fine tanta gente pensa che qui sia tutto modaiolo e fasullo, che le persone siano tutte superficiali, nevrotiche, arriviste. Anch’io lo pensavo, ma adesso so che non è vero, quelli che vivono in vetrina sono gli sfigati. Questa è una città speciale».
È proprio amore.
«Forse. Chi lo sa? Di sicuro a Milano c’è spazio per tutto e tutti. E sembra di essere sempre in serie A. Qui se hai una buona idea è facile che qualcuno prima o poi fiuti l’affare e ti permetta di realizzarla. Insomma, è una città dove bisogna farsi un gran culo, ma alla fine puoi ottenere quello che vuoi. Non mi sembra che altrove, in Italia, sia così».
Quando passano a Milano gli amici di Venezia dove li porta?
«Visti i soliti posti – Duomo, Cenacolo etc. – andiamo a scoprire quei palazzi meravigliosi che non si mostrano subito, ma sono splendidi dentro e fuori, e poi a vedere qualche chiesetta. All’inizio, quando ero in deficit di bellezza, entravo dentro una di queste e mi sentivo un po’ a casa».
I posti a cui è più affezionato?
«Sono veneziano, quindi non posso che rispondere quelli legati al bere, alle chiacchiere con gli amici, alle risate in compagnia. Questo è un aspetto molto importante della vita a Venezia. Quindi mi piace l’enoteca La Coloniale di corso Genova, la Paninoteca di via Masera, il Bar Basso, la Taverna dei Terroni al Mercato Comunale di viale Monza, dove si mangia da Dio in mezzo ai banconi del pesce, l’Albero Fiorito, che è un localino di friulani niente male… Ecco, il bello di Milano è anche in questi posti».
E il brutto?
«Spesso in giro si incontrano mitomani, gente un po’ montata che non ha il senso della misura, e del ridicolo, e pensa di essere e fare chissà cosa… E poi gli imbruttiti, anche se adesso un po’ li capisco. I modi brutali di tanti milanesi sono dettati dal tempo, che qui non c’è mai, e dai ritmi forsennati».
Come lo vede il suo futuro?
«Mi piacerebbe continuare a suonare con le varie band e aprire un posto mio dove poter mangiare e fare musica senza spendere tanto. Purtroppo ho già capito che la burocrazia e le tasse mi faranno passare la voglia…».
La residenza ce l’ha qui o a Venezia?
«Per ora ancora a Venezia, quello sarà un bel passo… Ma lo farò presto, vorrei votare qui».
Adesso per chi voterebbe?
«Meno male che questa volta non posso farlo. Sono di sinistra, ma non saprei chi scegliere. Pisapia mi è piaciuto, ha fatto tanto, con Sala e Parisi temo l’approccio democristiano alla cultura. Ho paura che penalizzino l’offerta di spettacoli con coprifuochi vari, scelte di convenienza partitica, provincialismo».
Beppe Sala è il candidato del Pd: lo voterebbe?
«No. Non mi rappresenta».
Milano è per sempre?

«Nulla è per sempre. Di sicuro resterò qui ancora a lungo. C’è da credermi perché proprio in questi giorni è finita la storia con la mia morosa. Per lei sono venuto, senza di lei resto lo stesso».

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