LEONARDO BRUSCAGIN ## Milanese di Arre, 58 anni, concierge

Arre è un paesino in provincia di Padova con 2000 abitanti. Qui è nato Leonardo Bruscagin, che a 14 anni ha fatto una scelta di vita ben precisa: si è iscritto all’Istituto alberghiero di Abano Terme, 30 chilometri a nord-est. Era il 1971 e da allora Leonardo ha fatto parecchia strada, fino a quando, dieci anni dopo, nel 1981, non si è fermato a Milano. Oggi che di anni ne ha quasi 60, moglie e un figlio di 25, è il concierge dell’hotel Four Seasons di via Gesù 6. In pratica, il portiere d’albergo che si occupa di tutte le esigenze della clientela. Quando parla Leonardo Bruscagin ha un leggerissima inflessione veneto-lombarda molto divertente.

Quando è arrivato a Milano?
«Nel 1981. Dopo aver fatto tante esperienze in giro, anche in Francia, sono finalmente arrivato a Milano. Qui c’era un mio caro amico di scuola che mi diceva di venire assolutamente perché a Milano c’era lavoro e ce n’era anche tanto. Ho seguito il suo consiglio: ho trovato un impiego in un albergo, mi è piaciuto, e sono rimasto. È stata la scelta migliore che potessi fare, qui sto bene. Non me ne andrei per nessun motivo».
All’epoca che idea aveva di Milano?
«Di sicuro non me la immaginavo così. Il primo impatto fu scioccante: “Dove sono finito?”, mi chiedevo tutti i giorni».
Perché?
«Ero un ragazzino nato e cresciuto in campagna, uno abituato alla provincia di Padova. Le esperienze di lavoro che avevo fatto prima di arrivare, compresa quella in Francia, le avevo fatte in piccole località. Qui era tutto diverso, tutto più grande: rimasi a bocca aperta. E poi i ritmi… ogni cosa si faceva in maniera frenetica e travolgente. Però ci misi poco ad ambientarmi: a Milano c’è e c’è sempre stato di tutto, come da nessun’altra parte d’Italia. È una città che tutti i giorni ti dà scariche di adrenalina uniche. Oggi, quando torno a Padova, dopo due giorni vado via perché non so più che cosa fare. Mi annoio, a Milano non mi succede mai. C’è sempre qualcosa da fare».
Dal suo arrivo a oggi come sono cambiati i milanesi?
«Tanto. Secondo me, sono un po’ peggiorati. Erano più affabili e accoglienti quelli di una volta. Adesso sono tutti più freddi e scostanti. Forse sono diventati così perché c’è talmente tanta immigrazione che dare confidenza riesce un po’ più difficile».
Vista da qui Milano dopo l’Expo come se la passa?
«Per quello che posso dirle io, siamo sulla strada buona. Nell’aria c’è una bella euforia. Milano sta ritornando grande. C’è tanta gente in giro che può crescere e di conseguenza far crescere anche gli altri. Come negli anni ’80, tanto per fare un esempio. Che io ricordo non solo perché avevo vent’anni ma perché si pensava solo a fare, a crescere, a migliorare. La parola crisi non esisteva».
L’aspetto negativo di questa fase?
«Non sono razzista, ma l’immigrazione eccessiva e non controllata fa paura. La questione ordine pubblico, sicurezza nelle strade, è importantissima».
Secondo lei, che ha a che fare con tanti americani, Milano è un po’ una piccola New York, come a molti milanesi piace pensare?
«Milano è sicuramente la città più internazionale d’Italia, e non lo dico io ma i nostri clienti stranieri, però rispetto a New York è un paesino. Ma forse è meglio così. Infatti a mio nipote ho detto di fare come me e venire qui».
Cioè?
«Ha 21 anni e ha fatto anche lui la scuola alberghiera, però nel ramo della ristorazione. A un certo punto, dopo che aveva fatto le prime esperienze di lavoro, gli ho detto che se voleva vedere il mondo, però a dimensione umana, doveva venire a Milano, che ha la fortuna di non essere né troppo piccola né troppo grande».
Come l’ha presa il nipote?
«All’inizio era impressionato. Però ha capito al volo che qui c’è da fare. “Da qui passa il mondo”, mi ha detto».
Quali sono gli “angoli” di Milano che preferisce?
«Soprattutto quelli di Brera: via Formentini, piazza del Carmine, via Madonnina. Le consiglio sempre ai turisti… quella zona lì è bellissima».
La cosa che le chiedono di più i clienti?
«Dove andare a fare shopping. È quello che vogliono tutti, da tutto il mondo. Solo in ultima battuta: che cosa c’è da visitare… vicino ai negozi. A Milano è così».
Tutto qui?
«Ovviamente vogliono sapere qualsiasi cosa sul cibo. Quando dico che qui c’è il mercato del pesce più grande d’Europa non ci credono. Molti chiedono perché la moda è nata qui e non altrove. A questa domanda non è facile rispondere. Forse dove ci sono i soldi, ci sono i creativi, rispondo io».
Restano sorpresi da che cosa?
«Dalla sua bellezza. Spesso ci dicono che non si aspettavano una città così bella».
A loro come la racconta in sintesi?
«Dico che è una città con tanta cultura, musei, negozi e qualche distrazione. Molti vengono anche per fare un po’ di vita notturna nei locali. C’è molta aspettativa».
Soprattutto da parte di chi?
«Europei in genere, i russi più di tutti».
I più complicati chi sono?
«Quelli dell’Estremo Oriente: cinesi e indonesiani, quelli di Singapore, anche gli indiani un po’. Hanno esigenza particolari che noi dobbiamo imparare a soddisfare.
I più facili?

«Gli americani. Sono diminuiti rispetto a un tempo, ma sono sempre i migliori».
Si è mai chiesto come sarebbe andata a finire se avesse scelto di lavorare in un’altra città?

«Sì, spesso. Ovviamente, non lo so. O forse sì: in Italia solo Milano premia fino in fondo chi sa fare e non si tira mai indietro di fronte alle difficoltà. Quindi…».
I milanesi adottivi come lei, che a Milano sono la maggioranza, che cosa hanno in più e in meno rispetto a quelli che qui ci sono nati?
«In meno sicuramente la famiglia d’origine, che non è qui. In più chi viene da fuori sa quello che ha lasciato e sa quello che qui ha trovato. Questo dà una bella spinta, crea un bel mix psicologico per cercare di fare bene e realizzarsi».
L’arma in più di Milano qual è?
«La frenesia. Mia moglie ama Roma, ma non ci vivrebbe mai. La trova lenta, qui invece si va alla grande. Tutto procede velocemente. Sia chiaro, non è il Paradiso: chi pensa di fare il furbo rischia di bruciarsi in un attimo. Milano dà tanto, ma devi stare al suo gioco. Non si scherza qui. Ho visto tanta gente farsi male, gente che pensava di fare il bello e il cattivo tempo ed è andata via in malo modo».
Che ne pensa della moschea da costruire in città?
«È giusto che ci sia, ma perché non rispettano anche noi cristiani quando andiamo da loro? Secondo me ci vuole reciprocità. Se vuoi qualcosa, devi essere pronto a dare altrettanto. Mi sembra semplice buon senso».

 

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