SANDRO SANTANTONIO E ANDREA CANTÙ ## Milanesi di Racale e Monza, 39 e 40 anni, designer e avvocato

Sandro (nella foto, a destra) e Andrea (a sinistra) dal 2003 formano una coppia affiatata nella vita e nel lavoro. Il primo ha 39 anni, il secondo 40. Uno è un designer molto noto e apprezzato – in Italia e all’estero disegna mobili, lampade, interni di yacht etc. – il secondo è un avvocato che, dopo aver conosciuto Sandro, ha mollato tutto per occuparsi degli aspetti legali della loro società e di comunicazione. Sandro Santantonio è nato e cresciuto a Racale (Lecce), Andrea Cantù a Monza, ma entrambi sono milanesi da anni. Li incontro nel bel loft dalle parti del Naviglio della Martesana, periferia nordest di Milano (alla fine di via Padova), dove vivono e lavorano. Si inizia con Sandro poi, dopo un’oretta, arriva Andrea.

Quando è venuto a Milano?
«Nel 1994, a 17 anni. Dopo aver finito il liceo artistico a Lecce, mi iscrissi all’Accademia di Brera. Ormai ho passato più tempo a Milano che in Puglia…».
Come furono i primi tempi?

«Belli. Tutti mi avevano parlato di una città fredda e chiusa, ma con me la vivacissima Milano fu subito accogliente, gentile e generosa. Fin dai primi giorni mi sembrò un contenitore ricco di energie, stimoli e diversità. Nessuno mi chiese chi mi mandava o di chi fossi figlio, domande che altrove sono la norma. In un modo o nell’altro la città comunicava un messaggio fondamentale: fammi vedere che cosa sai fare».
La più italiana delle città di questo Paese o la più internazionale?
«Trovo che al di là dei luoghi comuni sia la più italiana del 2016, cioè quella più vicina a ciò che succede nel mondo oggi. Il bello di Milano è che fa sempre molta autocritica, che poi vuol dire mettersi in condizione di essere sempre un passo avanti a tutte le altre città».
Qual è il quid?
«Forse la generosità, la grinta, l’elasticità. Anche nei periodi peggiori Milano riesce a farcela sempre in maniera sorprendente, quasi miracolosa. Vacilla, magari si ferma un po’, ma si riprende, fa un salto avanti e recupera sempre il tempo perso».
All’estero dove avete lavorato?
«Un po’ ovunque. Fra i tanti clienti abbiamo anche la Fondazione Packard, che a Santa Clarita, in California, ha appena inaugurato il Film Archive and Preservation Center. Noi abbiamo ideato e prodotto tutta l’illuminazione, un lavoro di grandissima qualità».
Hai mai pensato di vivere altrove, magari all’estero?
«Sì, per anni. Poi dopo aver passato un po’ di tempo proprio negli Stati Uniti, ho capito il bello di Milano. La dimensione giusta – per il lavoro e i rapporti umani – è la nostra. Per questo gli americani ci amano e i cugini europei ci invidiano…».
Che intende dire?
«Il nostro mestiere si può fare solo qui. La produzione a un certo livello si fa solo in Italia, cioè a Milano. In altri paesi come Olanda, Finlandia o Gran Bretagna progettano,ma non sanno niente della realtà produttiva. O fanno fare qui da noi o nei paesi sottosviluppati, con tutto quello che ne consegue».
Chi paragona Milano a New York fa ridere?
«Mah! Un po’ sì, ma non più di tanto… Diciamo che Milano si vende bene, come gli americani. Io posso solo dire che se ci fosse il mare sarebbe fra le migliori del mondo. Ma non c’è…».
Altrove sarebbe riuscito a fare quello che ha fatto qui?
«Credo di no. Firenze e Roma, per esempio, hanno il peso della storia, sono ferme, chiuse, quasi inaccessibili. Milano invece è sempre in movimento, aperta, attenta alle novità. Una città che bada al sodo perché qui siamo tutti “stranieri” e tutti vogliamo fare tanto e bene. Siamo venuti qui per questo».
Quando e come ha scoperto di essersi milanesizzato?
«Dopo due anni che ero qui. In un bar di Lecce, durante una vacanza, il cameriere mi chiese cosa ne pensassi, da milanese, della città…».
E nella testa?
«Quando ho capito che bisognava rispettare tutte le diversità. Questa città educa alla convivenza, che qui è un principio ben radicato nella testa delle persone. Milano è la più brava della classe, dai».
Il rapporto con la bellezza?
«Qui ci sono la bellezza classica e quella moderna, cosa non comune in Italia, e insieme formano una bellezza globale fatta di stile e idee nuove che solo in una vera metropoli possono nascere e coesistere. Milano, da questo punto di vista, è unica. Roma è la Storia, il passato. Milano è il presente che guarda al futuro».
Il brutto di questa città?
«Per assurdo, lo stress causato dalla ricerca di un equilibrio fra diversi. Insomma, la convivenza».
Come le sembra Lecce vista da qui?
«Inevitabile dire che giù è un altro mondo. Diciamo che se io vivessi a Lecce, per logiche classiste, avrei a che fare tutto il giorno solo con avvocati, commercialisti, medici. Professionisti come me. A Milano invece è tutto più reale, miscelato, democratico. Ogni cosa ti riporta con i piedi per terra, ti normalizza e ti tranquillizza. Tutto e tutti ti ridimensionano. Se hai fatto centro, un minuto dopo devi metterti in discussione, migliorare, andare avanti. È dura Milano, ma fa bene alla salute».
Un consiglio a un giovane leccese che sta pensando di trasferirsi qui?
«Diffidare di quelli che hanno l’accento da bauscia perché non sono milanesi, ma dell’hinterland. Con tutto quello che vuol dire nella testa… E poi la cosa più importante: darsi da fare perché questa città prima o poi, se fai bene, ti premia. Ed è Italia, pensi un po’».

Arriva Andrea.

Ha studiato a Milano?
«Sì, mi sono iscritto alla Statale per studiare Legge. Per cinque anni ho fatto il pendolare. Ovviamente, già la conoscevo. Per chi è di Monza come me, Milano è sempre stata la grande città in cui poter trovare tutto, la prima destinazione per uscire la sera con gli amici».
Com’è cambiata negli anni?
«Se penso alla Milano da bere, al divertimento, mi sembra cambiata in peggio. C’è meno varietà di offerte. Però adesso la trovo cresciuta, più internazionale, adulta e ricca di proposte culturali. E poi è sempre più milanese ma non troppo, che mi sembra il giusto mix».
Nel week end tende a scappare o a restare in città?
«Lo ammetto: vorrei essere sempre da qualche altra parte. Finché si lavora va bene, ma poi si trasforma in città un po’ lenta e noiosa, con troppa gente in giro e troppo casino».
Il “suo” posto magico in città?
«I chiostri della Statale. Bellissimi».
Vivrebbe altrove?
«Dipende. All’estero, sì. In Italia, mai. Qui tutto è possibile».
Che ne pensate delle unioni civili?
Sandro Santantonio – «Nella realtà quotidiana la nuova legge è cosa fatta da tempo, le polemiche di questi giorni sono semplicemente anacronistiche. Sono certo che la maggior parte delle persone sia favorevole ai matrimoni fra persone dello stesso sesso. A conferma del fatto che noi italiani siamo molto più avanti dei politici da quattro soldi che purtroppo ci rappresentano».
Andrea Cantù – «Se il ddl Cirinnà non dovesse passare con la formula “matrimonio” ancora una volta sarà evidente a tutti il clamoroso scollamento fra società civile e politica».
SS – «E poi c’è un po’ di delusione per papa Francesco…».
Cioè?
SS «Sono religioso, mi rivolgo a Dio tutti i giorni, vado a messa quando posso, e mi dispiace che il Papa intervenga su questi temi. Io la Bibbia l’ho letta, non c’è mai scritto qualcosa contro i gay».
Come valutate la questione dell’utero in affitto?
SS – «Noi siamo per l’adozione. Siamo contrari al fatto di avere un figlio che non sia di entrambi e soprattutto, visto che siamo impossibilitati fisicamente a procreare, siamo contrari a usare un escamotage così forte per soddisfare l’ego della singola persona. Detto questo, è già una realtà. Qualsiasi regolamentazione o limite sulla tematica dell’utero in affitto deve valere per tutti. Sono gli eterosessuali a usufruire maggiormente di questa soluzione».
Che ci fate in periferia, dalle parti di via Padova?
AC «Ho sempre amato la dimensione del loft e in questa ex fabbrica dove lavoriamo e viviamo ci troviamo benissimo. Mai avuto un problema nel quartiere. Anche questo è il bello di Milano».

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