YASMINE DI CATALDO ## Milanese di Albenga, 25 anni, cameriera

Papà pugliese, mamma algerina, Yasmine ha 25 anni, è nata e cresciuta ad Albenga, in provincia di Savona, e vive a Milano da quando ne aveva 18 e mezzo. Qui lavora come cameriera in un ristorante – l’americano Stk, che si trova all’interno dell’hotel ME Milan Il Duca di piazza Repubblica 13 – per pagarsi gli studi al Conservatorio, dove da privatista studia chitarra e pianoforte. È al quarto anno, il suo sogno è vivere di musica. Per il resto, le manca il mare – se lo sogna di notte – ma si è ambientata. Milano è la sua città.

È venuta da sola?
«Sì. Sono arrivata nel 2009 per lavorare e studiare musica».
Che studi ha fatto?
«Mi hanno bocciata quando frequentavo il terzo anno di liceo linguistico. Avevo problemi di asma, entravo e uscivo dall’ospedale, non ci sono quasi mai andata. Invece di ripetere l’anno, però, mi sono iscritta all’Istituto turistico e ho fatto tre anni in uno. È andata bene».
I suoi genitori come sono arrivati in Liguria?
«Papà è di Brindisi, mamma di Orano, in Algeria. Mio padre lavora da sempre nel settore delle costruzioni e 25 anni fa andò giù in Algeria per seguire un cantiere. Conobbe mamma, si innamorarono, e la portò in Italia».
Perché ad Albenga?
«Perché poi papà si spostò a Montecarlo per lavorare alla costruzione di due alberghi e con mamma decise di stabilirsi in zona».
Come sono stati i primi tempi a Milano?
«Brutti. Ero impaurita e senza lavoro, problema che dovevo risolvere in tempi rapidissimi. Non avevo tanti soldi. Per fortuna un amico mi ha aiutato a trovarne uno: cassiera in un negozio di calze in piazza Duomo. Il contratto prevedeva un impegno dalla mattina alla sera. Dopo tre mesi, però, non me l’hanno rinnovato e sono passata a fare la venditrice di contratti Tv nei centri commerciali. Guadagnavo pochissimo».
Dove dormiva?
«Il primo mese sono stata da un amico, che non mi ha fatto pagare. Poi per un anno mezzo ho diviso un bilocale con un ragazzo che non avevo mai visto prima. Poi da sola ho affittato case non proprio di lusso, fino a quando non ho trovato un bell’appartamentino, davanti al nuovo Palazzo della Regione, preso in affitto con un’agenzia immobiliare, un contratto vero e tutte le cose in regola. Non sa quante fregature ho preso…».
E la musica? Lo studio?
«Per dare gli esami e potermi iscrivere al Conservatorio ho seguito un corso di chitarra e pianoforte, strumenti che ho iniziato a studiare da sola anni fa. Mi hanno presa, però siccome devo lavorare non posso frequentare le lezioni ordinarie, mi presento solo per fare gli esami da privatista. Sono al quarto anno».
Che genere di musica le piace?
«Pop e soul. Amo Pino Daniele, Alex Britti, Alanis Morrissette, Alicia Keys, Tracy Chapman… Due anni fa sono arrivata a fare i Boot Camp di X Factor, poi mi hanno buttata fuori. Canto anche in francese, perché con mamma l’ho sempre parlato, e inglese per via del lavoro. Devo sapere tutto sul menù in inglese e l’ho imparato abbastanza bene».
Da quanto tempo lavora in un ristorante?
«Dal 2011. Dopo le prime esperienze, ho iniziato fare la cameriera in un ristorante dove sono stata fino a pochi mesi fa. Poi per cambiare, e crescere un po’, sono andata in una steakhouse americana: Stk Milano».
Come sono i milanesi a tavola?
«Unici. Io, nonostante tutti dicano che il milanese sia un po’ rompicoglioni, credo che a saperlo prendere e ascoltare, sia il migliore: simpatico ma senza esagerare, disponibile quanto basta, educato e generoso con la mance. Se si parte prevenuti, si perde in partenza. Il milanese sa essere molto stronzo e ti stende. Anche se quelli tremendi sono altri».
Chi?
«Gli americani: arroganti, eccessivi, maleducati. L’altro ristorante in cui ho lavorato aveva un locale anche a Miami, dove sono stata per qualche mese. Ho visto scene allucinanti. Pagando sono convinti di poter fare qualunque cosa. Al contrario, in quel contesto, ho visto spesso milanesi che si trovavano lì per fare affari e, ovviamente, giganteggiavano. Facevano sempre un figurone. Un altro livello».
Ha il fidanzato milanese?
«No. Di Bergamo, ma adesso è finita».
Ha mai sofferto di solitudine?
«Un po’. Ad Albenga – fra sorella di 16 anni, genitori e cugini – ero abituata ad avere la casa piena di gente. Qui senza nessuno con cui passare il tempo, all’inizio è stata dura. Poi, piano piano…».
Adesso amici su cui poter contare ne ha?
«Tra milanesi veri e no, non mi lamento. Qui c’è tanta gente a cui voglio bene, qualcuno mi ha anche dato qualche salutare legnata. Mi ha fatto capire che bisogna sempre farsi trovare pronti».
Come racconta questa città ai suoi amici di Albenga?
«Come un’opportunità. In Liguria siamo messi male. C’è lavoro d’estate per tre-quattro mesi, poi basta. Quello che puoi fare qui, il modo in cui puoi farlo, le possibilità di crescere, in Liguria non esistono. Al massimo puoi trovare qualcosa di piccolo, che ti fa vivere in piccolo e sognare in piccolo. A me vivere così non sta bene. Ecco perché sono venuta a Milano, per provare a costruire qualcosa di più».
Com’è Milano con gli stranieri?
«Mia mamma è algerina, quindi conosco la problematica. Milano è accogliente, ma il punto è che c’è chi rispetta e chi pensa che tutto gli sia dovuto. È vero che noi occidentali per secoli siamo andati in giro per il mondo a sfruttarli in ogni modo e che adesso stanno giustamente chiedendo aiuto, ma alcuni di loro sono convinti che noi dobbiamo pagare per le storture della Storia. Uno che fa i bisogni in mezzo alla strada invece di entrare dentro un bar e chiedere se può usare i servizi, non cerca aiuto, insulta tutto e tutti. E non va bene, questa non è solidarietà. Questo vale per bianchi, gialli, neri, rossi e via dicendo».
Lei ha mai avuto problemi?
«Sono qui da cinque anni, mai. Sono rientrata a tutti gli orari possibili e immaginabili, ho sempre incontrato di tutto – barboni, puttane, ubriaconi – nessuno mi ha mai dato fastidio».
È cattolica o musulmana?
«Sono stata battezzata. Mia mamma poi ha lasciato scegliere a me. Così non ho fatto la prima comunione e la cresima da piccola, ma ho fatto tutto insieme da grande».
I suoi che dicono di Milano?
«Sono contenti, mi vedono felice, determinata, fiduciosa».
Cosa non le piace?
«Il fatto che non ci sia il mare non si supera facilmente. E poi l’ossessione numero uno di tutti: correre sempre, correre dalla mattina alla sera. È contagioso. Anche quando dormo alla fine penso solo a quello, alle cose da fare e al fatto che non c’è mai tempo per fare tutto».
C’è un luogo in città a cui è particolarmente legata?
«Si, il cavalcavia Bussa, quello che da via Carlo Farini va verso l’Isola, Spesso ci sono passata all’alba per vedere sorgere il sole. Ci torno spesso. Ha colori fantastici».
Da milanese adottiva adesso può dirlo: non è vero che i milanesi sono…?
«Non è vero che sono poco generosi. Non è vero che sono poco simpatici. Non è vero che non si interessano agli altri. Qui sanno che la risorsa maggiore, alla fine, sono le persone».
La prima cosa da cambiare?

«Le macchine, il traffico, la puzza».
Nella testa della gente?
«I limiti. Bisogna sempre andare avanti. Guardando lontano».

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